Volevo fare l’architetto ultima parte
Dunque i problemi relativi alla professione di architetto sono molteplici, da una legislazione disattenta alla mancanza di una educazione culturale da parte della committenza, dall’inesistenza di un percorso universitario di qualità ad uno Stato padrone che esige ma non concede, se oggi sono un architetto non devo ringraziare nessuno tranne i miei genitori che hanno creduto in me e mi hanno dato tutto quello di cui avevo bisogno per realizzare il mio obiettivo. Dal momento in cui sono nato, a quello in cui sono diventato architetto, lo stato Italiano non è mai stato presente, i redditi degli architetti sono ormai caduti tanto in basso da essere annoverati come i nuovi poveri. Concetti quali creatività, ricerca, innovazione sembrano ormai spariti nel nulla ed è per questo che nella progettazione di spazi pubblici (scuole, biblioteche, teatri ecc…) e non solo, l’attenzione verso i materiali, lo studio del rapporto con il contesto sono caduti in disuso verso una progettazione più spicciola, meno attenta agli aspetti formali, funzionali e pedagogici, si guarda solo ed esclusivamente il costo finale, meno costa meglio è. Uno dei più grandi problemi di cui soffre oggi il mondo dell’architettura nel nostro paese è la quasi impossibilità per un professionista di accedere al mercato del lavoro e di avere reali possibilità di crescita. Perché le istituzioni non pensano ad investire sui giovani e meno giovani talenti che affollano il nostro paese, invece di farli scappare? E’ evidente quanto sia urgente oggi rimettere in gioco il ruolo della professione e riconsiderare l’architettura come strumento per affrontare le problematiche sociali legate alla cultura progettuale contemporanea. Bisogna indagare sul ruolo e sulla figura evolutiva della figura di architetto, manca una visione globale capace di delineare la sua funzione, l’Italia è il Paese dove gli architetti sono meno rappresentati e forse anche per questo sono meno rappresentativi e l’unico dove si delega la cura di un Patrimonio così importante e consistente a competenze inadeguate, un ruolo operativo, decisionale e progettuale con conseguenze dirette sull’assetto del territorio, che deve essere riconosciuto di pubblica utilità. Occorre promuovere il ricambio, la proposta, la progettualità, creare strutture normative più snelle e dinamiche più attente alle esigenze reali del territorio, dei cittadini e non ultimi, degli architetti, capaci di rappresentare le esigenze della collettività.
Ed eccoci arrivati alla fine della storia, di questo sfogo che probabilmente non servirà ad apportare alcuna modifica allo stato di cose fin qui descritte, certo, non ho alcuna pretesa di velleità, ma almeno è servito al mio sé per liberarmi un po’ dal peso o dai pesi che incombono sulla nostra professione e credo su tutte le professioni e di tutti i lavoratori di oggi in Italia, giovani e meno giovani. Mi ritrovo ancora oggi a pensare cosa voglio fare da grande a 40 anni passati, come potermi ritenere soddisfatto professionalmente ed economicamente, come potermi reinventare come poter vivere e garantire un futuro ai figli che non ho e non posso avere. Come posso pensare di avere figli se non riesco a mantenermi? Penso ogni giorno a quali potrebbero essere le alternative e non riesco ad andare contro le mie aspirazioni, non posso accettare di vivere per lavorare, non posso accettare di sottomettere le mie ambizioni per un pugno di Euro, per cercare di arrancare per arrivare a fine mese, non posso più accettare questo stato di cose, effimere, transitorie, precarie. Non posso più accettare di essere governato da uno stato padrone, che dà un contentino ogni tanto ai propri sudditi e non posso più accettare di sopravvivere, di nuotare in un oceano con l’acqua alla gola, mi sento soffocare. E’ ora di dire basta e lo dico a tutti i colleghi che fino ad oggi hanno accettato queste assurde ed immorali regole, è il momento di dare un segnale forte, non abbiamo nessuna garanzia di pensione, di crescita e sviluppo. I miei sogni sono ancora in volo, così come i miei obiettivi, alla tristezza del pensiero di un territorio continuamente defraudato e depauperato, oppongo la mia forza, la mia fermezza, la mia ostinazione, Giordano Bruno in punto di morte disse: “sul rogo brucerete soltanto l’involucro terreno ma le mie idee sopravvivranno”.
Carlo Gibiino
Volevo fare l’architetto parte 2
Nell’ambito della professione di
architetto entrano in gioco anche l’inesistenza di una educazione culturale da
parte dei committenti i quali pretendono di essere loro i direttori dei lavori
e l’architetto serve solo per mettere un timbro e sbrigare tutte le infinite
incombenze burocratiche. E’ la committenza che pretende di decidere tutto al
tuo posto anche la parcella e qualsiasi cifra puoi pensare è sempre troppo
alta, sbagliano i colleghi quando si prostrano ai piedi del committente
diventando ancora una volta schiavi tuttofare senza ricevere nulla in cambio se
non abusi, soprusi ed insulti, tempestati da telefonate anche il sabato o la
domenica per sapere a che punto è la “pratica”, perché di questo si parla. Il
committente non riesce a capire le enormi responsabilità che derivano
dall’allestimento di un cantiere, dal mettere una firma su di un progetto o una
relazione tecnica e chi come me cerca di essere sempre preciso e puntuale, si
ritrova ad essere preso in giro anche dalle amministrazioni che si chiedono
perché questo eccesso di zelo, perché tutti quei fogli, basta fare un
“disegnino” e scrivere quattro parole, perché più si scrive e si disegna e
peggio è!!! Una macchina burocratica lenta e pesante come un macigno finisce
per insaporire le delusioni fino a quel momento accumulate e conclude
definitivamente il passaggio dall’entusiasmo alla demoralizzazione e al senso
di depressione e oppressione. Il committente non è mai deciso, e in un cantiere
ci saranno sempre nuove sorprese, si presentano una, dieci o cento varianti
ovviamente a gratis, oppure resta tutto com’è, tanto esiste la sanatoria. Come
un architetto può sentirsi realizzato e appagato dal proprio mestiere? Un
mestiere che ha scelto, al quale si è dedicato e si continua a dedicare nell’aspettativa
di crescere e di conoscere sempre più per migliorarsi e poter affrontare nuove
sfide progettuali. Ho partecipato a diversi concorsi di idee, l’unico modo per
fare l’architetto, per continuare a studiare e qualcuno l’ho pure vinto, ma in
Italia i concorsi sono effimeri, illusori in quanto l’opera non viene
realizzata, ma che senso ha indire un concorso di idee per poi gettare le suddette
idee nel cestino? Anche a Caltanissetta è stato fatto un concorso al quale io
mi sono rifiutato categoricamente di partecipare direttamente, diciamo che ho
semplicemente aiutato alcuni colleghi nelle rappresentazioni grafiche,
comunque, il concorso è stato vinto da un gruppo di progettisti di Palermo, e
il progetto è stato completamente stracciato, fatto in mille pezzi e buttato
nell’inceneritore; al suo posto è stato realizzato una splendida pavimentazione
stradale, quindi tirando le somme, noi cittadini abbiamo investito una ingente
somma di denaro per migliorare l’architettura e l’urbanistica della nostra
piazza, e invece quei soldi sono serviti semplicemente come compenso ai proggettistivincitori.
Caltanissetta, la mia città, sta lentamente ma inesorabilmente morendo,
chiudono le attività, i negozi e sempre più giovani e meno giovani decidono di
scappare, chi resta cercando di combattere questa lenta esecuzione, viene
sistematicamente ignorato sia dalle istituzioni ma anche dalle altre realtà
(associazioni, enti ecc..) perché qui vige ancora il concetto che ciò che è mio
è mio e ciò che è tuo è mio. Ho cercato diverse volte di coinvolgere le altre
associazioni, gli ordini professionali, gli assessorati competenti, al fine di
raggiungere un obiettivo comune, il bene della nostra città. Ho sempre ricevuto
indifferenza, ostacoli insormontabili e muri di lava incandescente. L’ordine
professionale è del tutto assente a qualsivoglia forma di tutela, o di evoluzione
della professione, certo adesso sono stati obbligati per legge a curare il
costante e continuo aggiornamento delle competenze professionali - Dpr 137/2012
– ma l’unico risultato è che ci continuano ad assillare con una serie di
incontri inutili e noiosi. L’ordine professionale dovrebbe anche essere garante
in materia di trasparenza negli incarichi pubblici, e deve inviare alla corte
d’appello, ai tribunali, alle preture, alla prefettura ed alla camera di
commercio l’albo stampato a cura e spese dell’ordine ogni anno, in modo tale
che, gli enti summenzionati possano avere un elenco sempre aggiornato al quale
attingere a rotazione per eventuali incarichi. Allora mi chiedo come mai io che
sono iscritto all’albo dei CTU del Tribunale da almeno 10 anni, ho ricevuto un
solo incarico ed invece ci sono colleghi che ne espletano diversi nel corso di un
anno? Perché nessuno controlla sul sistema di rotazione degli incarichi? Chi se
non l’ordine professionale ha il diritto-dovere di controllare?
Volevo fare l’architetto
Da parecchio tempo, una domanda “turba” il mio pensiero quotidiano, chi è l’architetto? Ma soprattutto che mestiere svolge? Non mi è certo difficile pensare immediatamente al mondo dell’edilizia, mettendo per un attimo da parte la sua etimologia greca, e prendendo invece per corretta quella “moderna”! Prendo dunque in considerazione, le sue origini più fanciullesche, e penso immediatamente ai designers, ai loro viaggi mentali, alle linee morbide e accoglienti, ai tratti spigolosi e decisi, alla dinamicità e compostezza del design (letteralmente progetto), penso al ritmo modulare, all’armonia delle forme. Così mi capita di pensare ai “designers nostrani”, in questo caso non si vuole intendere lo specifico mestiere di disegnatori industriale, bensì coloro i quali lavorano per progettare le nostre case, le nostre strade, le nostre scuole, biblioteche, ospedali, teatri, chiese ecc… Mi domando come mai nella nostra realtà, il ruolo di designer, nella storia degli ultimi 50 anni, viene affidato a parecchie figure professionali, di indiscusse capacità nascoste, tranne che all’ architetto? L’architetto, nella sua formazione professionale, è costretto a scontrarsi quotidianamente con la sociologia moderna, con i processi cognitivi, senza tralasciare gli aspetti puramente scientifici, indaga sul senso dell’essere e sul suo archetipo, cerca di fondere forma e sostanza, estetica e funzionalità, licenza poetica e rigore, al fine di garantire una migliore fruizione degli spazi. E’ almeno da vent’anni che sento parlare di tutela, valorizzazione, conservazione e fruizione di spazi pubblici e più in generale di patrimonio culturale e storico artistico del territorio Italiano, ne parla l’articolo 9 della Costituzione, ne parlano i Piani Paesistici Territoriali, le Università, le convenzioni internazionali, le soprintendenze, i comuni le ex province, insomma se ne parla e poi? Esiste davvero una volontà politica di gestione del territorio e delle sue peculiarità storico artistiche e naturalistiche? E’ sotto gli occhi di tutti ormai, sia agli addetti ai lavori che ai non addetti che non esiste una pianificazione olistica che possa concretamente dare delle risposte ai problemi di uno specifico territorio, o meglio esistono come detto in precedenza tante, forse troppe leggi e leggiucole, come al solito si riempiono Km di carta ai quali poi non segue un percorso fattivo, così come, non pretendo di generalizzare, ma nella realtà che vivo non esistono pianificazioni volti alla concreta crescita di una intera popolazione sotto tutti gli aspetti, economici, sociali e culturali. La Sicilia è un vasto e ricco territorio ma purtroppo abbandonato a se stesso con una classe dirigente incapace di sottolineare i molteplici aspetti positivi di una regione continuamente martoriata da innumerevoli calamità sociali. La Sicilia e più in generale l’Italia non cresce e così anche la popolazione abituata al malaffare e sostenuta dal principio “fatta la legge scoperto l’inganno”. Tutti sono più furbi degli altri, le regole sono state inventate per essere infrante, si certo sono d’accordo, ma non può diventare una regola di vita, pochi sono coloro che si interessano alla “Res Pubblica” la maggior parte non reagisce perché crede che non la riguardi direttamente, perché c’è chi se ne interessa. E’ una questione di senso civico concetto ormai caduto in disgrazia negli ultimi decenni. E’ triste sentirsi abbandonati dalla propria madre – madre patria – ormai egoista e prevaricatrice che pretende continuamente e costantemente senza dare nulla in cambio. In Italia si lavora solo ed esclusivamente per pagare una enorme quantità di tasse, i lavoratori sono continuamente vessati da uno stato padrone che ha creato negli anni una forma di schiavitù capitalistica condita da malaffare e raccomandazioni, per cui chi ha un’istruzione e degli obiettivi è costretto a scappare. In Sicilia c’è un detto “ cu nesci arrinesci” ( chi esce riesce), vuol dire che se espatri riesci a raggiungere i tuoi obiettivi, certo non senza difficoltà, ma è gratificante e stimolante arrivare a tagliare la linea dei propri traguardi cosa che nel nostro bel pese è impossibile ed è anche inutile cercare di porsi degli obiettivi a meno di essere il figlio o figliastro di turno allora vivrai una vita serena e piena di soldi ..si sa…con i soldi puoi comprare di tutto. Ormai il 40% dei laureati espatria e con il passare del tempo questo dato continuerà ad aumentare inevitabilmente e se da un lato sono contento e mi auguro che così sarà, dall’altro mi sento triste e incazzato nero. A cosa mi serve un istruzione di “alto grado” se poi mi devo re-inventare ogni giorno? Adesso è il momento del concorsone scuola, dove si decanta l’immissione in ruolo di più di 60.000 docenti, concorso al quale parteciperanno centinai di migliaia di laureati e non perché è un obiettivo, ma perché è l’unico obiettivo, quali sono le alternative? Bene in realtà ci sono altre due alternative: 1. entrare a far parte delle forze dell’ordine o del corpo dei militari, 2. entrare in politica, ecco tutte le opzioni che lo stato Italiano mette a disposizione dei suoi cittadini. Tre posizioni molto delicate e dedicate a chi ha veramente passione. L’insegnamento sta alla base educativa di un sistema sociale, il poliziotto rischia la propria vita ogni giorno per far rispettare regole create da chi poi non le rispetta e non le fa rispettare e il politico deve fare il bene della comunità. Vedo in questi mestieri umiltà, dedizione e rispetto, ma come si può pretendere tutto questo da chi sceglie di intraprendere le suddette carriere solo ed esclusivamente per interesse personale? Chi sceglie uno di questi percorsi lo fa per bisogno e viste le premesse non a torto.
Carlo Gibiino
Distopia architetturale (parte3)
Altro esempio tutto siciliano è Gibellina, distrutta dal sisma del 1968, insieme agli altri paesi della Valle del Belice ha rischiato che, un progetto del governo, la facesse diventare un unico grande agglomerato industriale. La “nuova” Gibellina sorge a 18 chilometri di distanza dai ruderi della vecchia città localizzata su un terreno pianeggiante in prossimità di importanti assi di collegamento, autostrada e linea ferroviaria, un grande museo a cielo aperto ricco di opere d’arte e di cultura. È una città giardino, pensata e costruita come il "moderno", caratterizzata dall'ampiezza delle strade e dalla grande distanza tra le abitazioni. La struttura urbanistica è caratterizzata prevalentemente dall'alternarsi di strade carrabili e pedonali, con case a schiera dotate di piccolo giardino.
Distopia architetturale (parte2)
Un nuovo approccio alla progettazione urbana, fa assumere ai bambini un ruolo determinante, in quanto portatori di idee, esperienze ed esigenze diverse, fino ad oggi mai ascoltate, potenzialmente molto creative e garanti di una migliore qualità della vita anche per gli adulti. In tale processo diventa fondamentale il rapporto periodico fra bambini, cittadini, associazioni e Amministrazione al fine di realizzare un progetto davvero condiviso. Il coinvolgimento delle scuole è quindi di fondamentale importanza! Il vero problema è che in Italia non esiste una legge nazionale che garantisca l'attuazione di questi obiettivi e che obblighi a perseguire uno sviluppo sostenibile delle città. Il D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), che ha sostituito la legge Merloni del 1994 (legge quadro in materia di lavori pubblici) non contiene nessun riferimento alla progettazione partecipata, né vincola le istituzioni ad uno sviluppo sostenibile. Oggi tutte le pratiche urbanistiche dipendono da leggi regionali e solo la Toscana, l’Umbria e l’Emilia Romagna hanno redatto una legge ad hoc che riguarda la progettazione partecipata.
Distopia architetturale
Il futuro degli edifici è decisamente incerto, alcuni vengono abbattuti per essere sostituiti da altri più efficienti dal punto di vista tecnologico, energetico e ambientale, ovviamente non in Italia dove gli edifici crollano perché vetusti in pratica si autoeliminano, altri che conservano in se stessi una memoria storica che ci ricordano da dove veniamo, chi eravamo, come abitavamo, vengono oggi giustamente ripresi e riutilizzati in base a nuove esigenze. Gli spazi si restringono sempre più, in Giappone ad esempio, è ormai diventata una chimera potersi permettere di acquistare un terreno e fabbricare, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista prettamente geografico (non esistono più spazi liberi!!!), e chi trova l’occasione di acquistare 50 mq, e ovviamente se lo può permettere, obbliga progettista e famiglia a cercare nuove soluzioni per poter abitare in 30 mq + 20 mq di giardino. Sicuramente una sfida tanto interessante per il progettista, quanto difficile per gli abitanti. In Italia, ormai 100 mq, sono diventati troppo piccoli; e allora che fare? La conservazione dell’architettura obbliga o implica la formazione di una nuova professione? La professione non è sufficientemente preparata per questo nuovo compito largamente basato sul riutilizzo e la riprogettazione di edifici esistenti. E’ una necessità impellente ma è certamente poco pianificata nella formazione. Lo spazio prima o poi finirà e le soluzioni sono due:
Saper leggere il territorio: valorizzazione dell'arte e dell'architettura
Promuovere la trasparenza e la qualità dell'architettura, incentivare la creatività e l'innovazione, dare centralità al benessere dei cittadini e dell'ambiente sono i giusti presupposti per arrivare ad una conclusione legislativa. In Sicilia, siamo un passo avanti, almeno sulla carta, rispetto alle altre Regioni, poiché la Legge Regionale 12 Luglio 2001 n. 12, “Disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” all’art. 14 prevede l’applicabilità dei concorsi di idee con una serie di commi relativi allo svolgimento del concorso che così recita: “Art.1. - L’articolo 91 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni, è introdotto con le seguenti modifiche:
Perché in Italia non possiamo godere della qualità in architettura
Bruxelles, 12 gennaio 2001, il Consiglio dell’Unione Europea
L’Italia non è più un paese per architetti
“Con il decreto Sblocca Italia DL. 133/2014, molto ridotto, il Governo Renzi – come peraltro accade tutti i giorni agli architetti italiani – ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore.
Il Decreto contiene, infatti, solo norme che sarebbero adatte ad un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro”. Secondo il Cnappc (consiglio nazionale architetti paesaggisti e conservatori), aver rimandato, nello Sblocca Italia, il Regolamento Edilizio Nazionale, non aver posto limiti temporali alla possibilità della P.A. di revocare un permesso o di cambiare le proprie decisioni, non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici (che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate), non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto, rappresenta “la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.
“ L’Italia non è (più) un Paese per architetti – denuncia il Cnappc -: redditi medi da ‘incapienti’, senza peraltro avere alcuna garanzia ‘sindacale’ né cassa integrazione né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98”.
Il nostro territorio ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere; le città sono il motore dell’economia, e possono essere considerate catalizzatori di innovazione e creatività, affinché ciò avvenga le dimensioni – sociale, culturale, economico, ambientale – della vita urbana vanno improrogabilmente messe in stretta relazione attraverso un approccio integrato. Il tema della rigenerazione urbana è di grande attualità e può contribuire a ridare vita alla discussione tecnica al fine di calibrare con maggiore successo sia gli strumenti normativi che quelli progettuali.
La programmazione finanziaria dell’Unione Europea offre nuove ed importanti opportunità per lo sviluppo urbano: quali creazione di lavoro, uso sostenibile delle risorse energetiche, mobilità sostenibile e riqualificazione urbana sono solo alcuni degli obiettivi strategici identificati per il cui adempimento sarà necessario non solo rafforzare il dialogo tra le amministrazioni pubbliche locali, ma anche e soprattutto incentivare gli investimenti. E’, dunque, indispensabile dotarsi di un piano strategico di rigenerazione che ponga gli obiettivi di qualità urbana ed architettonica, di risparmio delle risorse naturali ed energetiche, di efficienza e razionalizzazione della vita urbana, ad un livello prioritario; poiché primo destinatario della rigenerazione urbana sostenibile è e deve essere il cittadino, occorre una “rivoluzione civile e culturale” affinché si diffonda la consapevolezza dell’abitare.
La ricerca della qualità urbana passa attraverso approcci interdisciplinari che sappiano affrontare le diverse problematiche valorizzando le specifiche potenzialità locali, l’urgenza è quella di riqualificare spazi già esistenti e non valorizzati piuttosto che costruire ex-novo, anche per contribuire a ridurre la crescita urbana incontrollata e l’ulteriore consumo di suolo. Quello che si cerca di raggiungere con gli interventi di riqualificazione urbana è in definitiva una “sostenibilità” che abbia il triplice valore di benessere, sicurezza sociale e rispetto ambientale. “Dal punto di vista sociale, il coinvolgimento nel recupero urbano e i processi di partecipazione sono oggi divenuti estremamente importanti non solo per promuovere l’identità locale, la condivisione, l’appropriazione spaziale, ma anche per rispondere a fenomeni quali la marginalità, la concentrazione di migranti, l’esigenza di sicurezza, la presenza di fasce deboli della popolazione” (De Matteis M., La riconfigurazione degli spazi aperti, la densificazione e i sistemi naturali come strumenti per la riqualificazione delle periferie residenziali, progetto “Futuro in Ricerca” MIUR).
I programmi di rigenerazione urbana pongono maggiore attenzione alla sfera sociale e sono volti a combattere la povertà e l’emarginazione sociale, in questo senso, è possibile scorgere una nota evolutiva che va dal pragmatico recupero fisico -spaziale, ad una olistica rigenerazione che si sviluppa attraverso azioni di tipo sociale, economico, culturale ed ambientale. Ma non è tutto rose e fiori, secondo David Madden, docente di Sociologia e Programmazione Urbana alla London School of Economics, la rigenerazione urbana è stata un fallimento: “Rigenerazione urbana, secondo i suoi fautori, vuol dire mettere fine alla povertà. Purtroppo, la realtà è che la povertà viene solo spostata altrove si dice che i quartieri poveri avrebbero bisogno di rivitalizzazione come se l’assenza di vita -opposto ad impoverimento e perdita di potere- fosse il vero problema. Esclusione viene “riclassificata” come “rigenerazione”. La missione liberale di “incrementare la diversità” è utilizzata ampiamente come scusa per allontanare i residenti originali dalle loro aree, in zone come Harlem e Brixton -aree celebri per la lunga storia di lotta politica e diversità culturale – al termine del processo di gentrificazione, si plaude alla vittoria sulla “povertà” ignorando il fatto che il disagio è stato solo spostato altrove”. (www.theguardian.com).
In conclusione, la rigenerazione urbana come strumento può offrire grandi opportunità di sviluppo, ma è bene prendere in considerazione anche gli aspetti fallimentari che sono venuti a galla nei processi precedenti per avere una visione quanto più ampia possibile, evitando gli errori del passato. Probabilmente non è il nostro caso in Italia, ma soprattutto in Sicilia, tutto deve rimanere così com’è il cambiamento ci fa paura…chissà perché poi. Siamo entrati nel III millennio, la nostra vita sta, se pur lentamente cambiando, cambiano le abitudini, il modo di vestire, il modo di mangiare, cambiano i concetti e le definizioni, il modo di incontrarsi e fare amicizia.
Il concetto di “Moderno” è ormai “Antico”, più che mai quello di “Contemporaneo”. Io intendo come contemporaneo tutto ciò che è presente oggi, in questo momento, in questo preciso istante, davanti a noi: è quello che costruiamo oggi; tutto il resto è passato.“Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre” (Winston Churchill).
Carlo Gibiino
Il sistema Italia crolla a pezzi
Assenteismo istituzionale ingiustificato
Fare l’architetto in Italia è
diventato impossibile, sia dal punto di vista professionale che redditizio,
vivere di sola libera professione significa essere povero, conosco pochissimi
colleghi che vivono in questo modo, la maggior parte di essi sono insegnanti la
mattina e professionisti il pomeriggio. Tra edilizia ed aziende in crisi,
burocrazia, leggi, norme e decreti che cambiano continuamente, clienti che non
pagano, concorrenza sleale, si assiste ogni giorno alla distruzione sempre più
profonda della professione di Architetto, oggi definita e degradata a ruolo di
“azzeccagarbugli”. “Giudico che sia bene
dichiarare chi è quello, che voglio chiamare Architettore percioché lo non ti
porrò inanzi un legnaiuolo, che tu lo habbi ad aguagliare ad huomini nelle
altre scienze essercitatissimi; colui certo che lavora di mano, serve per
Instrumento allo architettore. Architettore chiamerò lo colui, iI quale saprà
con certa, e maravigliosa ragione, e regola, si con la mente, e con lo animo
divisare; si con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante
movimenti di pesi, congiugnimenti, e ammassamenti di corpi, si possono con gran
dignità accomodare benissimo allo uso de gli huomini. Et a potere far questo,
bisogna che egli abbia cognitione di cose ottime, e eccellentissime; e che egli
le possegga.” (Leon Battista Alberti Dal De Re Ædificatoria, 1450).
" Serve una “spintarella”
Dunque i problemi relativi alla professione di architetto sono molteplici, da una legislazione disattenta alla mancanza di una educazione culturale da parte della committenza, dall’inesistenza di un percorso universitario di qualità ad uno Stato padrone che esige ma non concede, se oggi sono un architetto non devo ringraziare nessuno tranne i miei genitori che hanno creduto in me e mi hanno dato tutto quello di cui avevo bisogno per realizzare il mio obiettivo. Dal momento in cui sono nato, a quello in cui sono diventato architetto, lo stato Italiano non è mai stato presente, i redditi degli architetti sono ormai caduti tanto in basso da essere annoverati come i nuovi poveri. Concetti quali creatività, ricerca, innovazione sembrano ormai spariti nel nulla ed è per questo che nella progettazione di spazi pubblici (scuole, biblioteche, teatri ecc…) e non solo, l’attenzione verso i materiali, lo studio del rapporto con il contesto sono caduti in disuso verso una progettazione più spicciola, meno attenta agli aspetti formali, funzionali e pedagogici, si guarda solo ed esclusivamente il costo finale, meno costa meglio è. Uno dei più grandi problemi di cui soffre oggi il mondo dell’architettura nel nostro paese è la quasi impossibilità per un professionista di accedere al mercato del lavoro e di avere reali possibilità di crescita. Perché le istituzioni non pensano ad investire sui giovani e meno giovani talenti che affollano il nostro paese, invece di farli scappare? E’ evidente quanto sia urgente oggi rimettere in gioco il ruolo della professione e riconsiderare l’architettura come strumento per affrontare le problematiche sociali legate alla cultura progettuale contemporanea. Bisogna indagare sul ruolo e sulla figura evolutiva della figura di architetto, manca una visione globale capace di delineare la sua funzione, l’Italia è il Paese dove gli architetti sono meno rappresentati e forse anche per questo sono meno rappresentativi e l’unico dove si delega la cura di un Patrimonio così importante e consistente a competenze inadeguate, un ruolo operativo, decisionale e progettuale con conseguenze dirette sull’assetto del territorio, che deve essere riconosciuto di pubblica utilità. Occorre promuovere il ricambio, la proposta, la progettualità, creare strutture normative più snelle e dinamiche più attente alle esigenze reali del territorio, dei cittadini e non ultimi, degli architetti, capaci di rappresentare le esigenze della collettività.
Ed eccoci arrivati alla fine della storia, di questo sfogo che probabilmente non servirà ad apportare alcuna modifica allo stato di cose fin qui descritte, certo, non ho alcuna pretesa di velleità, ma almeno è servito al mio sé per liberarmi un po’ dal peso o dai pesi che incombono sulla nostra professione e credo su tutte le professioni e di tutti i lavoratori di oggi in Italia, giovani e meno giovani. Mi ritrovo ancora oggi a pensare cosa voglio fare da grande a 40 anni passati, come potermi ritenere soddisfatto professionalmente ed economicamente, come potermi reinventare come poter vivere e garantire un futuro ai figli che non ho e non posso avere. Come posso pensare di avere figli se non riesco a mantenermi? Penso ogni giorno a quali potrebbero essere le alternative e non riesco ad andare contro le mie aspirazioni, non posso accettare di vivere per lavorare, non posso accettare di sottomettere le mie ambizioni per un pugno di Euro, per cercare di arrancare per arrivare a fine mese, non posso più accettare questo stato di cose, effimere, transitorie, precarie. Non posso più accettare di essere governato da uno stato padrone, che dà un contentino ogni tanto ai propri sudditi e non posso più accettare di sopravvivere, di nuotare in un oceano con l’acqua alla gola, mi sento soffocare. E’ ora di dire basta e lo dico a tutti i colleghi che fino ad oggi hanno accettato queste assurde ed immorali regole, è il momento di dare un segnale forte, non abbiamo nessuna garanzia di pensione, di crescita e sviluppo. I miei sogni sono ancora in volo, così come i miei obiettivi, alla tristezza del pensiero di un territorio continuamente defraudato e depauperato, oppongo la mia forza, la mia fermezza, la mia ostinazione, Giordano Bruno in punto di morte disse: “sul rogo brucerete soltanto l’involucro terreno ma le mie idee sopravvivranno”.
Carlo Gibiino
Volevo fare l’architetto parte 2
Si legge sul sito dell'ordine
degli architetti di Roma, dal convegno del 20 giugno 2007: Riforma delle
professioni – Dis-Ordine professionale
Dialogo con gli architetti romani:
“ In
Italia da oltre quindici anni si parla di riforma delle professioni. In Italia
da oltre quindici anni si affossa ogni tentativo di riformare le professioni.
Intanto il sistema ordinistico mantiene un assetto vecchio, ingessato,
anacronistico, che mostra sempre più tutte le sue carenze”.
L’Ordine degli Architetti di
Roma è convinto che, così come sono organizzati oggi, gli Ordini professionali
non funzionino più e che il persistere di azioni corporative di lobby che, di
fatto, puntano a mantenere lo status quo, è dannosa per il nostro sistema
professionale ed è dannosa per il mondo degli architetti italiani. Abbiamo
bisogno di modernizzare i nostri sistemi di rappresentanza, intensificare le
azioni di formazione e aggiornamento professionale, favorire azioni di
internazionalizzazione e di promozione all'estero dei progettisti, affrontare
le emergenze occupazionali dei giovani: per fare tutto questo abbiamo bisogno
di strumenti nuovi. Per questo gli ordini professionali o si cambiano o si
aboliscono. E come non essere d'accordo!! Il gap culturale che esiste tra
professione e opinione pubblica è talmente alto, che bisogna urgentemente agire
attraverso campagne di sensibilizzazione, volte ad avvicinare la popolazione
all'architettura, occorre che i cittadini si rendano consapevoli del
significato di qualità architettonica. Qualità vuol dire ricerca,
aggiornamento, gestione consapevole del territorio, dei rifiuti, dei trasporti,
dell'energia, degli spazi; l'architettura, come scienza e come arte, ha una
grande responsabilità, - pensiamo ai materiali impiegati, all’impatto
sull'ambiente, alla politica del riuso -, sulla qualità del vivere quotidiano.
La qualità architettonica è il riflesso del grado di evoluzione di un Paese.
Nel corso degli anni, la maggior parte degli Ordini soprattutto nelle grandi
città, si sono trasformati in luoghi di potere dove coltivare il proprio
orticello, e hanno dimenticato i compiti principali per cui sono stati
istituiti dalla Legge 1395 del 1923 e dal successivo Regio Decreto n.2537 del
1925. Nel libro "I veri intoccabili" di Franco Stefanoni, dove ci
dipingono come una casta, dicono: “il 44% degli Architetti è figlio di
Architetti” “una macchina del privilegio, con meccanismi e regole scritte e non
scritte”. Bhe….ormai non ho più dubbi, gli
ordini professionali vanno aboliti!!! La professionalità non deriva da una mera
iscrizione ad un registro ma dall’esperienza maturata sul campo.
Carlo Gibiino
Volevo fare l’architetto
Da parecchio tempo, una domanda “turba” il mio pensiero quotidiano, chi è l’architetto? Ma soprattutto che mestiere svolge? Non mi è certo difficile pensare immediatamente al mondo dell’edilizia, mettendo per un attimo da parte la sua etimologia greca, e prendendo invece per corretta quella “moderna”! Prendo dunque in considerazione, le sue origini più fanciullesche, e penso immediatamente ai designers, ai loro viaggi mentali, alle linee morbide e accoglienti, ai tratti spigolosi e decisi, alla dinamicità e compostezza del design (letteralmente progetto), penso al ritmo modulare, all’armonia delle forme. Così mi capita di pensare ai “designers nostrani”, in questo caso non si vuole intendere lo specifico mestiere di disegnatori industriale, bensì coloro i quali lavorano per progettare le nostre case, le nostre strade, le nostre scuole, biblioteche, ospedali, teatri, chiese ecc… Mi domando come mai nella nostra realtà, il ruolo di designer, nella storia degli ultimi 50 anni, viene affidato a parecchie figure professionali, di indiscusse capacità nascoste, tranne che all’ architetto? L’architetto, nella sua formazione professionale, è costretto a scontrarsi quotidianamente con la sociologia moderna, con i processi cognitivi, senza tralasciare gli aspetti puramente scientifici, indaga sul senso dell’essere e sul suo archetipo, cerca di fondere forma e sostanza, estetica e funzionalità, licenza poetica e rigore, al fine di garantire una migliore fruizione degli spazi. E’ almeno da vent’anni che sento parlare di tutela, valorizzazione, conservazione e fruizione di spazi pubblici e più in generale di patrimonio culturale e storico artistico del territorio Italiano, ne parla l’articolo 9 della Costituzione, ne parlano i Piani Paesistici Territoriali, le Università, le convenzioni internazionali, le soprintendenze, i comuni le ex province, insomma se ne parla e poi? Esiste davvero una volontà politica di gestione del territorio e delle sue peculiarità storico artistiche e naturalistiche? E’ sotto gli occhi di tutti ormai, sia agli addetti ai lavori che ai non addetti che non esiste una pianificazione olistica che possa concretamente dare delle risposte ai problemi di uno specifico territorio, o meglio esistono come detto in precedenza tante, forse troppe leggi e leggiucole, come al solito si riempiono Km di carta ai quali poi non segue un percorso fattivo, così come, non pretendo di generalizzare, ma nella realtà che vivo non esistono pianificazioni volti alla concreta crescita di una intera popolazione sotto tutti gli aspetti, economici, sociali e culturali. La Sicilia è un vasto e ricco territorio ma purtroppo abbandonato a se stesso con una classe dirigente incapace di sottolineare i molteplici aspetti positivi di una regione continuamente martoriata da innumerevoli calamità sociali. La Sicilia e più in generale l’Italia non cresce e così anche la popolazione abituata al malaffare e sostenuta dal principio “fatta la legge scoperto l’inganno”. Tutti sono più furbi degli altri, le regole sono state inventate per essere infrante, si certo sono d’accordo, ma non può diventare una regola di vita, pochi sono coloro che si interessano alla “Res Pubblica” la maggior parte non reagisce perché crede che non la riguardi direttamente, perché c’è chi se ne interessa. E’ una questione di senso civico concetto ormai caduto in disgrazia negli ultimi decenni. E’ triste sentirsi abbandonati dalla propria madre – madre patria – ormai egoista e prevaricatrice che pretende continuamente e costantemente senza dare nulla in cambio. In Italia si lavora solo ed esclusivamente per pagare una enorme quantità di tasse, i lavoratori sono continuamente vessati da uno stato padrone che ha creato negli anni una forma di schiavitù capitalistica condita da malaffare e raccomandazioni, per cui chi ha un’istruzione e degli obiettivi è costretto a scappare. In Sicilia c’è un detto “ cu nesci arrinesci” ( chi esce riesce), vuol dire che se espatri riesci a raggiungere i tuoi obiettivi, certo non senza difficoltà, ma è gratificante e stimolante arrivare a tagliare la linea dei propri traguardi cosa che nel nostro bel pese è impossibile ed è anche inutile cercare di porsi degli obiettivi a meno di essere il figlio o figliastro di turno allora vivrai una vita serena e piena di soldi ..si sa…con i soldi puoi comprare di tutto. Ormai il 40% dei laureati espatria e con il passare del tempo questo dato continuerà ad aumentare inevitabilmente e se da un lato sono contento e mi auguro che così sarà, dall’altro mi sento triste e incazzato nero. A cosa mi serve un istruzione di “alto grado” se poi mi devo re-inventare ogni giorno? Adesso è il momento del concorsone scuola, dove si decanta l’immissione in ruolo di più di 60.000 docenti, concorso al quale parteciperanno centinai di migliaia di laureati e non perché è un obiettivo, ma perché è l’unico obiettivo, quali sono le alternative? Bene in realtà ci sono altre due alternative: 1. entrare a far parte delle forze dell’ordine o del corpo dei militari, 2. entrare in politica, ecco tutte le opzioni che lo stato Italiano mette a disposizione dei suoi cittadini. Tre posizioni molto delicate e dedicate a chi ha veramente passione. L’insegnamento sta alla base educativa di un sistema sociale, il poliziotto rischia la propria vita ogni giorno per far rispettare regole create da chi poi non le rispetta e non le fa rispettare e il politico deve fare il bene della comunità. Vedo in questi mestieri umiltà, dedizione e rispetto, ma come si può pretendere tutto questo da chi sceglie di intraprendere le suddette carriere solo ed esclusivamente per interesse personale? Chi sceglie uno di questi percorsi lo fa per bisogno e viste le premesse non a torto.
Carlo Gibiino
Distopia architetturale (parte3)
Altro esempio tutto siciliano è Gibellina, distrutta dal sisma del 1968, insieme agli altri paesi della Valle del Belice ha rischiato che, un progetto del governo, la facesse diventare un unico grande agglomerato industriale. La “nuova” Gibellina sorge a 18 chilometri di distanza dai ruderi della vecchia città localizzata su un terreno pianeggiante in prossimità di importanti assi di collegamento, autostrada e linea ferroviaria, un grande museo a cielo aperto ricco di opere d’arte e di cultura. È una città giardino, pensata e costruita come il "moderno", caratterizzata dall'ampiezza delle strade e dalla grande distanza tra le abitazioni. La struttura urbanistica è caratterizzata prevalentemente dall'alternarsi di strade carrabili e pedonali, con case a schiera dotate di piccolo giardino.
Prima del terremoto Gibellina era una
piccola cittadina con poco più di 6000 abitanti divisa in sei quartieri,
confinante a nord con la provincia di Palermo, ad est con Poggioreale, a sud
con Salaparuta, ad ovest con Santa Ninfa e a nord-ovest con i comuni di
Calatafimi e Alcamo; insomma, una posizione centrale, anche se per raggiungerla
bisognava percorrere strade scomode e quasi impraticabili, difficoltà che
indubbiamente costituirono un limite naturale al suo sviluppo economico, ma che
insieme consentirono agli abitanti di conservare, forse con maggiore fedeltà di
altri siciliani, il ricordo della tradizione, dei costumi e della memoria
complessiva del passato. Entrando in paese una porta a forma di Stella si erge
maestosa, alta 24 m è realizzata in acciaio inox da Pietro Consagra, in viale
degli Elimi si trova il palazzo Di Lorenzo di Francesco Venezia, una
particolare casa – museo in cui si sovrappongono stili antichi e moderni.
Andando oltre si può ammirare il Meeting, bar ristoro di Pietro Consagra, il
Teatro anch’esso opera di Pietro Consagra, la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, il Sistema delle
piazze, di Laura Thermes e Franco Purini, in piazza XV Gennaio 1968 vi è il
Municipio progettato da Vittorio Gregotti e Giuseppe Samonà. Da non dimenticare
il “Cretto” di Alberto Burri, un candido sudario steso sulle rovine della
vecchia città, per conservare le memorie del passato nella nuova realtà che
ogni estate si trasforma nel palcoscenico delle Orestiadi. Finalmente in
Sicilia, avremo una città, pensata e progettata da architetti urbanisti ed
artisti, un momento di crescita culturale ed economica, sia per i cittadini
gibellinesi, sia per tutta un’intera regione, orgoglio dei manicomi.
Fantastiche ipotesi, che però non hanno avuto il loro seguito, perché
Ghibellina, la splendida città giardino, è stata abbandonata, si! Abbandonata,
sia dagli abitanti, sia e soprattutto dalle istituzioni. Sicuramente Gibellina
è un’opera d’arte, ma come spesso succede, l’arte rimane solo per pochi, e non
per tutti, infatti per gli addetti ai lavori, (professionisti e studenti) è
sicuramente un’ottima base di studio, ma per la maggior parte della gente, e soprattutto
per i gibellinesi, di quella opera d’arte, non se ne fanno assolutamente nulla.
Gibellina, sembra ormai una città fantasma, abitata solamente dai suoi austeri monumenti,
inno alla vita e alla crescita, ma tutto hanno portato tranne questo; si intravede
passare, ogni tanto qualche timido turista, che frugalmente scatta qualche foto
qua e là. Certo, l’architettura da sola non può niente, e naturalmente poi si
parla della cosiddetta “cattedrale nel deserto”, ma come mai, in Europa tutto
questo non succede?, come mai da almeno una ventina d’anni, si tende verso una
“politica architettonica” che riesce a mandare avanti tutti quegli ingranaggi
che regolano la vita quotidiana? Lo vediamo in Francia, in Germania, in Olanda
ed in tutti i paesi bassi, ma soprattutto lo vediamo in Spagna, uno stato, che
fino a qualche tempo fa, e non troppo, sicuramente non era quella che è
diventata oggi; una Nazione all’avanguardia. Io credo in noi “giovani”
professionisti, mentalità diverse, culturalmente avanzate, e matematicamente
incazzate!!!! Credo nel futuro di
Gibellina, credo nel futuro della Sicilia, credo nella “politica
architettonica”, che certamente non da sola, possa dare lavoro e ricchezza
oltre che belle case nuove fiammanti solamente da abitare. In Europa e in tanti
altri paesi, l’architettura viene scelta come simbolo di rinascita, rinascita
culturale ed economica, nel 1889 Gustave Eiffel viene inizialmente criticato e
osteggiato per la costruzione della sua “Torre”, che doveva testimoniare la
potenza industriale francese, fu realizzata ricorrendo al compromesso che dopo
vent'anni sarebbe stata smantellata. A favore del mantenimento della Torre
giocò il fatto di servire da antenna radio (grazie anche a questo i francesi
avevano potuto intercettare i messaggi radio dei tedeschi e approntarsi per la
battaglia della Marna). Fu istituita una apposita commissione che decise su
votazione (con solo un voto di scarto) per il mantenimento della torre. Oggi la
Tour Eiffel è il simbolo di Parigi con milioni di visitatori da tutto il mondo
che si mettono in fila per ammirarla. Si pensi che i costi di costruzione vennero
ammortizzati in un solo anno, in fondo è stato un ottimo investimento. Berlino
negli anni novanta era una città disastrata ricca di vuoti urbani e ruderi, ma
grazie alla volontà istituzionale si è velocemente trasformata in una città che
ha fatto della contemporaneità il suo punto di forza. Il Reichstag di Berlino è rimasto un rudere fino alla caduta del muro nel 1989,
poi l’architetto Norman Foster propone un recupero con materiali e forme
innovative che richiama visitatori da ogni dove, la Potsdamer Platz, punto
nevralgico, dove già nel 1908 transitano 35 linee tranviarie ed è insediata la
stazione di testa di una delle più importanti linee ferroviarie nazionali e
internazionali. Dopo la guerra, il poco che rimane in piedi viene tagliato
in due nel 1961 dal muro, rendendo di fatto impossibile l’utilizzo degli
assi viari. A partire dal 1989, si può immaginare quindi la difficoltà nel
cercare di ricucire uno spazio così frantumato. Oggi quello coordinato da Renzo
Piano è considerato uno tra gli interventi di recupero urbano più rilevanti a
scala europea. Ed infine l’Isola dei
musei, per ricordare le radici della nazione, i grandi artisti e gli
interessi che hanno influenzato la cultura tedesca. E poi ancora Dessau con il
suo Bauhaus università moderna in stile “arts and crafts” ideata da Walter
Gropius e grazie ai maestri che vi hanno insegnato, è diventata un punto di
riferimento passato e presente, Villa
Tugendhat a Brno di Ludwig Mies Van Der Rohe, e Londra con il recupero
della ex centrale elettrica, oggi museo dedicato all’arte moderna e
contemporanea il Tate Moderne e le migliaia di interventi realizzati con gusto
all’interno della “city”, lo stesso accade a Copenaghen, il suo simbolo è oggi
il “Black Diamond” l’ala high tech della vecchia Royal Library, Praga con il suo palazzo simbolo Ginger e Fred
ovvero “Nationale Nederlanden Building”,
uno degli edifici più affascinanti, ma per certi versi meno conosciuto,
della storia dell’architettura contemporanea diversamente da come si
potrebbe immaginare non si nota più di
tanto, rispetto al contesto in cui è immerso, infatti ho dovuto faticare non
poco prima di trovarlo, mentre, appena
arrivati, all’incirca intorno le 10.00 del mattino, percorrevamo in macchina la
sponda del fiume sul quale si appoggia delicatamente, così come si interseca
delicatamente con gli edifici circostanti, in una elettrica danza e in
tantissime altre città, che hanno fatto della contemporaneità un pregio e una
rendita economica.
Carlo Gibiino
Distopia architetturale (parte2)
Un nuovo approccio alla progettazione urbana, fa assumere ai bambini un ruolo determinante, in quanto portatori di idee, esperienze ed esigenze diverse, fino ad oggi mai ascoltate, potenzialmente molto creative e garanti di una migliore qualità della vita anche per gli adulti. In tale processo diventa fondamentale il rapporto periodico fra bambini, cittadini, associazioni e Amministrazione al fine di realizzare un progetto davvero condiviso. Il coinvolgimento delle scuole è quindi di fondamentale importanza! Il vero problema è che in Italia non esiste una legge nazionale che garantisca l'attuazione di questi obiettivi e che obblighi a perseguire uno sviluppo sostenibile delle città. Il D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), che ha sostituito la legge Merloni del 1994 (legge quadro in materia di lavori pubblici) non contiene nessun riferimento alla progettazione partecipata, né vincola le istituzioni ad uno sviluppo sostenibile. Oggi tutte le pratiche urbanistiche dipendono da leggi regionali e solo la Toscana, l’Umbria e l’Emilia Romagna hanno redatto una legge ad hoc che riguarda la progettazione partecipata.
Esistono però due direttive europee:
• la 42/2001, legata alla sostenibilità e che impone a piani e programmi di un certo rilievo territoriale la procedura della VAS (Valutazione Ambientale Strategica), prevedendo il coinvolgimento delle comunità locali nell’analisi dello scenario;
• e la 35/2003 che sancisce la necessità di attivare processi di partecipazione territoriale. Queste direttive non sono però prescrittive, ma sono gli Stati membri a scegliere se adottarle o meno.
• la 42/2001, legata alla sostenibilità e che impone a piani e programmi di un certo rilievo territoriale la procedura della VAS (Valutazione Ambientale Strategica), prevedendo il coinvolgimento delle comunità locali nell’analisi dello scenario;
• e la 35/2003 che sancisce la necessità di attivare processi di partecipazione territoriale. Queste direttive non sono però prescrittive, ma sono gli Stati membri a scegliere se adottarle o meno.
Ad oggi sono molti gli esempi di
urbanistica partecipata in Italia. Secondo i dati dell’ INU, sono circa
200 i casi di pianificazione partecipata segnalati alla commissione volontaria;
si può affermare con certezza, quindi, che siamo nell’ ordine di grandezza di
qualche centinaio di episodi da Milano a Torino, Genova, Potenza, Bologna,
Firenze, Roma e tanti altri comuni piccoli e grandi. Dove si può parlare di
“consuetudine” e “maturità” nella pratica della partecipazione è la Gran Bretagna; qui,
infatti, è un dato acquisito da quarant’anni. Nick Wates, scrittore,
ricercatore, professionista e consulente con un’esperienza di più di 25 anni
sul campo, descrive, come esempio, la realizzazione del Piano di Sviluppo Locale per Bexhill. Anche in Francia,
grazie ad una normativa sul paesaggio, la partecipazione dei cittadini viene
promossa rispetto alla redazione di vincoli ambientali, trasformazioni e
gestioni cooperative. La
Germania, come spesso accade, anche in questo caso riesce ad avere un
posto d’onore nell’albo delle nazioni che attuano urbanistica partecipata
grazie alle numerose esperienze riscontrabili sul territorio. Tra i diversi
esempi ricordiamo la Stadterneuerung:
processo di rigenerazione urbana che sta coinvolgendo Berlino da circa 15 anni.
“In
Italia l’opposizione alla partecipazione è stata indubbiamente dura, ma questo
è stato anche facilitato dalle posizioni deboli e dogmatiche di quelli che
proponevano la partecipazione come processo meccanico e automatico secondo il
quale basta andare dalla gente, chiederle quali sono i suoi bisogni e poi
trascrivere le risposte in progetti grigi il più possibile. La partecipazione è
molto più di così: si chiede, si dialoga, ma si “legge” anche quello che la
vita quotidiana e il tempo hanno trascritto nello spazio fisico della città e
del territorio, si “progetta in modo tentativo” per svelare le situazioni e
aprire nuove vie alla loro trasformazione. Ogni vera storia di partecipazione è
di un processo di grande impegno e fatica, sempre diverso e il più delle volte
lungo ed eventualmente senza fine. La partecipazione impone di superare
diffidenze reciproche, riconoscere conflitti e posizioni antagoniste. È
difficile che il dialogo si apra subito a una fluente e efficace comunicazione.
Ma quando si raggiungono fiducia e confidenza, allora il processo diventa
vigoroso, spinge all’invenzione, innesca uno scambio di idee che viene
continuamente alimentato dall’interazione dei vari modi diversi di percepire le
questioni portate nel dibattito dai vari interlocutori. […] Per questo non
esistono ricette per la partecipazione. Se cambiano i partecipanti e le ragioni
per cui si sono incontrati, cambia la partecipazione: bisogna inventarla e
esperirla ogni volta da capo” (G. De Carlo, 2002).
In Italia è diventato tutto
estremamente difficile e complesso, forse lo è sempre stato, ma col passare
degli anni mi rendo conto che il groviglio burocratico e la sistematica
ignoranza generale ha prodotto gravi e perenni danni alla società e alla realtà
che ci circonda. Quando ero giovane volevo anche io essere un “archistar” con
incarichi milionari e progettazioni senza limiti, crescendo mi sono reso conto
invece che voglio essere un “antistar”, l’architettura è arte, tecnica,
sociologia, politica, psicologia, è estetica e funzionalità, è raziocinio e
follia. L’architettura non è un capriccio, non è scultura non è qualcosa di
autoreferenziale. L’architettura deve saper leggere i linguaggi e le vocazioni
di uno specifico territorio, acquisirne pregi e difetti e marcarne il suo “Genius
loci”. All’estrema teoria conservatoristica bisogna opporre una tendenziale visione
contemporanea della vita e del modo di vivere che caratterizza le nostre città.
Non tutto va per forza di cose conservato e cristallizzato, così come non tutto
va obbligatoriamente sventrato. “In medio stat virtus” dicevano i latini, e il
giusto compromesso tra antico e contemporaneo, tra passato e futuro, tra
conservazione e innovazione, può essere la strada giusta per recuperare i
nostri centri storici e non solo. Le periferie oggi sono, nonostante il divario
“generazionale” con il quale sono stati progettati ed edificati, altamente
degradate tanto quanto i centri storici ed anche gli esempi più “innovativi”
dati in mano ad architetti non sono riusciti nel loro intento. Penso ad esempio
al quartiere ZEN (zona espansione nord) di Palermo oggi denominato San Filippo
Neri. Il quartiere, interamente costituito da fabbricati di edilizia popolare,
si suddivide in due aree, con diverse caratteristiche costruttive, comunemente
definite come "Zen 1" e "Zen 2". Lo Zen 2, sorge a partire
dal 1969 per opera dell'IACP palermitano su progetto dell'architetto Vittorio
Gregotti. Dal progetto di concorso alla realizzazione, lo Zen 2 ha subito delle
varianti che hanno modificato la morfologia complessiva del quartiere. Dopo il 1980 il gruppo vincitore del concorso non fu in
grado di esercitare, perché del tutto estromesso, alcun controllo sulle fasi di
progettazione e di esecuzione né tanto meno poté influenzare le scelte
politico-amministrative che lasciarono lo ZEN 2 privo di servizi. Il quartiere è specchio della pesante situazione politica e
sociale, con alti tassi di dispersione scolastica e microcriminalità. Vittorio
Gregotti in un’intervista dichiara: "Lo
Zen lo rifarei uguale al progetto. Lì il solo errore è stato non aver capito
quale formidabile potere avesse la mafia. È un fallimento da un punto di vista
politico e sociale, ma non architettonico”.
Questo dimostra come l’architettura da sola, anche se di ottima qualità,
non possa essere propulsiva sia da un punto di vista prettamente urbanistico, sia
da un punto di vista sociologico. Ferdinando Fava antropologo, ricercatore ed
insegnante presso l’Università degli studi di Padova scrive: “Proprio attorno
al solo spazio modernista progettato da Vittorio Gregotti e al successivo
spazio costruito si sono concentrate, in questi anni nella sfera pubblica, le
analisi urbanistiche e i progetti pubblici d’intervento, ma è sullo spazio
sociale, sul modo d’abitare dei residenti (le loro pratiche sociali) che si è
costituita ed accanita la stigmatizzazione dei media e dei dispositivi
socio-istituzionali”, e ancora: “La rigida griglia ortogonale, priva d’ogni decoro, non offre
spazi alla socialità, né mete alla percorrenza, che non siano gli interni delle
insulae. Sicché l’insieme, se contiene una ricca articolazione di spazi
d’abitazione, di fatto è del tutto privo di spazio urbano che per essere tale
deve pure essere significativo» (Quartarone 2008)”.
Carlo Gibiino
Distopia architetturale
Il futuro degli edifici è decisamente incerto, alcuni vengono abbattuti per essere sostituiti da altri più efficienti dal punto di vista tecnologico, energetico e ambientale, ovviamente non in Italia dove gli edifici crollano perché vetusti in pratica si autoeliminano, altri che conservano in se stessi una memoria storica che ci ricordano da dove veniamo, chi eravamo, come abitavamo, vengono oggi giustamente ripresi e riutilizzati in base a nuove esigenze. Gli spazi si restringono sempre più, in Giappone ad esempio, è ormai diventata una chimera potersi permettere di acquistare un terreno e fabbricare, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista prettamente geografico (non esistono più spazi liberi!!!), e chi trova l’occasione di acquistare 50 mq, e ovviamente se lo può permettere, obbliga progettista e famiglia a cercare nuove soluzioni per poter abitare in 30 mq + 20 mq di giardino. Sicuramente una sfida tanto interessante per il progettista, quanto difficile per gli abitanti. In Italia, ormai 100 mq, sono diventati troppo piccoli; e allora che fare? La conservazione dell’architettura obbliga o implica la formazione di una nuova professione? La professione non è sufficientemente preparata per questo nuovo compito largamente basato sul riutilizzo e la riprogettazione di edifici esistenti. E’ una necessità impellente ma è certamente poco pianificata nella formazione. Lo spazio prima o poi finirà e le soluzioni sono due:
1 . la già
largamente e ampiamente discussione sulla progettazione verticale;
2 . il
riutilizzo e la riprogettazione.
Riutilizzo e riprogettazione intesa anche
e soprattutto come nuovo stimolo per far fruire a tutta la popolazione intera
di beni ormai dimenticati e abbandonati da tutto e da tutti, anche dal tempo.
Nella speranza di superare il concetto di cristallizzazione dell’architettura,
mi auguro che ben presto, le nostre amministrazioni possano riuscire nei
favolosi intenti rimasti finora tali.
L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato
sul suo sito internet le informazioni tecniche relative allo stock immobiliare
censito in catasto al 31 dicembre 2014. Si tratta di 73 milioni di immobili per
una rendita complessiva di circa 37,5 miliardi di Euro, un patrimonio edilizio
immenso che necessita di rinnovamento, efficientamento e messa in sicurezza.
“Il dato complessivo si aggrava ulteriormente se si prende in esame in
particolare il patrimonio edilizio pubblico, rispetto al quale pesano
particolarmente alcuni pregiati edifici a valenza storica (con le evidenti
difficoltà d’intervento connesse) ed una più generale vetustà del patrimonio,
enfatizzate negli ultimi anni dalle ristrettezze della finanza pubblica
centrale e locale. La conseguenza sono municipi, uffici, scuole, palestre
pericolosi dal punto di vista sismico e che bruciano (in senso letterale)
risorse in ragione della scarsa efficienza energetica delle loro caldaie, dei
loro infissi, della loro coibentazione”. (fonte: ENEA idee per lo sviluppo
sostenibile). Il patrimonio immobiliare italiano è il più vecchio d’Europa: il
5% degli edifici necessita di interventi urgenti, mentre il 40% richiede misure
di manutenzione straordinaria. Lo sconfortante panorama è stato reso
noto in occasione del Festival Green Economy di Distretto organizzato nel
2012 presso l’auditorium di Confindustria ceramica di Sassuolo. Eppure una
strada per invertire questo stato di cose esiste ed è quella della
riqualificazione, del recupero dell’esistente e dell’innovazione tecnologica in
edilizia. Ne sono convinte Fillea Cgil e Legambiente, che hanno presentato
congiuntamente il rapporto su innovazione e sostenibilità nel settore edilizio
“Costruire il futuro”. Secondo lo studio, è necessaria una gestione strategica
dell’intero processo di recupero e rinnovamento del patrimonio abitativo
attraverso l’applicazione di un mix di soluzioni progettuali tecnologiche e
impiantistiche sostenibili che servano anche a metterlo in sicurezza. Tutto
questo porterebbe a un innalzamento della qualità della vita dei cittadini e a
un aumento dell’occupazione stimato in ben 600.000 nuovi posti di lavoro nei
prossimi 10 anni. Bisogna puntare sull’innovazione tecnica e progettuale, senza
di essa non c’è sviluppo e nel futuro gli investimenti dovranno essere
concentrati nella riqualifica del patrimonio esistente, nelle smart cities e
nelle infrastrutture, puntando su sicurezza, sostenibilità, accessibilità e
fruibilità”. Bisogna attivare con gli abitanti percorsi di inserimento
rendendoli promotori e attori delle trasformazioni, rafforzare l’identità e il
senso di appartenenza ai luoghi, in una sola parola: “Progettazione
partecipata”.
La progettazione partecipata affonda le
sue radici nel periodo che va tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo ad
opera di Patrick Geddes. Nel suo "Cities in Evolution", Geddes
teorizza uno strumento di risanamento e pianificazione della città e del
territorio in maniera ecologica, generando matrici ove compaiono
"luogo", "gente" e "lavoro". Inoltre sperimenterà
diverse volte recuperi urbani partecipati. La partecipazione esprime una
volontà generale che si prefigge di attuare principi di giustizia ed equità
sociale, i quali permettono di raggiungere importanti obiettivi in termini di
qualità efficacia e rappresentatività della progettazione, soprattutto
consentono che il piano sia sentito dalla comunità perché contiene le immagini
che la comunità locale assegna ai luoghi di vita e di relazione. Gli elementi
che caratterizzano i processi di progettazione partecipata sono:
- la conoscenza locale nei suoi
molteplici aspetti culturali ed economici; essa rappresenta il perno
dell'analisi territoriale e sociale sviluppata nei progetti di produzione
sociale di città e del territorio. Gli abitanti non sono più soggetti passivi,
essi divengono soggetti attivi nella progettazione che attraverso una
conoscenza specifica dei luoghi e dei problemi, producono un sostanziale salto
qualitativo;
- l'ascolto critico, il continuo
scambio tra i diversi soggetti del processo progettuale delinea in modo netto i
reali fabbisogni, esplicita i desideri inespressi;
- la partecipazione è un laboratorio
creativo di comunicazione efficace;
- infine i bambini possono essere
protagonisti diretti delle nuove esperienze di partecipazione.
Carlo GibiinoSaper leggere il territorio: valorizzazione dell'arte e dell'architettura
Promuovere la trasparenza e la qualità dell'architettura, incentivare la creatività e l'innovazione, dare centralità al benessere dei cittadini e dell'ambiente sono i giusti presupposti per arrivare ad una conclusione legislativa. In Sicilia, siamo un passo avanti, almeno sulla carta, rispetto alle altre Regioni, poiché la Legge Regionale 12 Luglio 2001 n. 12, “Disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” all’art. 14 prevede l’applicabilità dei concorsi di idee con una serie di commi relativi allo svolgimento del concorso che così recita: “Art.1. - L’articolo 91 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modifiche ed integrazioni, è introdotto con le seguenti modifiche:
a)
dopo il
comma 5 è inserito il seguente:
5 bis. Nei
casi di cui al comma 5, in cui si ritenga prevalente il valore innovativo
dell’idea progettuale, la qualità dell’ideazione e della realizzazione sotto il
profilo tecnologico, ingegneristico e/o architettonico, le stazioni appaltanti
applicano la procedura del concorso di idee.” Un arma
in più che però la Regione, gli Ordini professionali e le Amministrazioni non
ne conoscono l’esistenza. Affinché la Legge possa essere applicata nel concreto
e con una precisa definizione, però, occorre riformare la normativa e nello
specifico:
1.
È
obbligo ( e non è facoltà), della stazione appaltante
affidare altresì, al vincitore, con procedura negoziata senza bando, la
direzione dei lavori (comma 4);
2.
Eliminare
la seguente dicitura: Il soggetto vincitore deve
essere in possesso dei requisiti di capacità economica,
indicati nel bando, in rapporto ai livelli progettuali da sviluppare (comma 4);
3.
Occorre
introdurre nel contesto del codice dei contratti una
elencazione di opere e di interventi per i quali le stazioni appaltanti debbono
ricorrere all’indizione del concorso di progettazione, e con specifico
riferimento al comma 5bis, eliminare la
facoltà ed introdurre l’obbligatorietà dell’applicazione del concorso in
rapporto alla sopracitata elencazione.
Le città, luogo di incontri,
scambi, culture, sapori, odori e colori, oggi rappresentano la sconfitta di una
generazione di uomini intenti quasi solo ed esclusivamente a fare soldi. Dal
secondo dopoguerra ad oggi, le città sono state date in mano a palazzinari,
uomini d'affare, manager, imprese edilizie, tutti tranne gli architetti. Le
città sono il nostro gioiello, il biglietto da visita di una popolazione, delle
sue tradizioni, delle sua culture, del suo paesaggio. Un paesaggio che è stato,
nel tempo dilaniato da interessi puramente economici a scapito della bellezza,
della funzione, della fruizione. La città "moderna", fatta di
scatole, mal isolata acusticamente affacciate su strade asfaltate senza la
minima integrazione geografica e con il paesaggio naturale, si congestiona e si
estende senza forma, incerta, indefinita. Il D.M. n. 1444/68 all'art. 3,
definisce gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici
o riservati alle attività collettive, a verde pubblico, a parcheggi, spazi che
non sono assolutamente riconoscibili e delineati nelle nostre città. Ma cosa si
intende per insediamenti residenziali? Le città sono insediamenti residenziali?
Perchè non sono stati minimamente presi in considerazione gli standards
urbanistici previsti dal suddetto D.M. 1444/68? L'urbanista e l'architetto,
organizzano gli spazi urbani e architettonici, definiscono la lo loro posizione
e la collegano nel tempo e nello spazio stabilendo percorsi perfettamente
efficienti. Bisogna smettere di contrapporre sempre i punti di vista, che vanno
invece fusi in una logica di armonia. Bisogna agire con intelligenza e
programmazione di comune accordo con le amministrazioni locali, amministrazioni
che spesso non sono sensibili ad una pianificazione territoriale strategica. Ne
consegue quindi che gli obiettivi strategici si riducono ai pochi derivanti
dalle priorità politiche espresse nella direttiva di mandato, tali obiettivi,
però, non rappresentano tutti gli obiettivi strategici rilevanti,
l'integrazione tra politica e amministrazione, serve ad impedire che ci siano
attività di gestione che sono totalmente assenti nei pensieri politici e,
viceversa, obiettivi strategici che non si traducono in programmi operativi. La
disorganica sequenza di opere pubbliche delle varie amministrazioni e la
disordinata ricostruzione dei centri urbani, eseguita più con spirito di
ripristino o di massimo sfruttamento che di miglioramento, rappresenta una
sintesi di disordine che una seria e positiva azione di programmazione
urbanistica avrebbe potuto facilmente prevenire e superare. Occorre saper
leggere il proprio territorio, selezionare le priorità di intervento
sostenibili e guidare intorno a queste priorità le risorse pubbliche e private.
Un suggerimento ci viene offerto dal legislatore, che in data 27 Febbraio 2004
ha approvato il disegno di legge sulla Qualità dell'Architettura, un disegno di
legge quadro che promuove la nascita ed il consolidamento di una cultura della
qualità architettonica ed urbanistica, una nozione fino ad oggi sottovalutata
nell’ordinamento, e richiama l’attenzione degli operatori ai fini del
raggiungimento di standard di progettazione quanto più elevati possibile. Per
consentire un inserimento armonico dell’opera costruita nell’ambiente
circostante (il cui valore paesaggistico è stato spesso compromesso da
interventi architettonici ed urbanistici non sufficientemente ponderati) il
disegno di legge individua principi fondamentali a cui attenersi e strumenti
capaci di incrementare la qualità architettonica: concorsi di idee ed
iniziative di alta formazione con il coinvolgimento degli Ordini professionali,
ma anche valorizzazione dell’arte e dell’architettura contemporanea.
Carlo Gibiino
Perché in Italia non possiamo godere della qualità in architettura
Bruxelles, 12 gennaio 2001, il Consiglio dell’Unione Europea
Afferma che:
a) l'architettura
è un elemento fondamentale della storia, della cultura e del quadro di vita di
ciascuno dei nostri paesi; essa rappresenta una delle forme di espressione
artistica essenziale nella vita quotidiana dei cittadini e costituisce il
patrimonio di domani;
b) la qualità architettonica è parte integrante
dell'ambiente tanto rurale quanto urbano;
c)
la dimensione culturale e la qualità della
gestione concreta degli spazi devono essere prese in considerazione nelle
politiche regionali e di coesione comunitarie;
d)
l'architettura è una prestazione intellettuale,
culturale ed artistica, professionale. E' quindi un servizio professionale al
contempo culturale ed economico.
Esprime l’importanza che per esso rivestono:
a) le caratteristiche comuni
presenti nelle città europee, come l'alto valore della continuità storica, la
qualità degli spazi pubblici, nonché la convivenza di vari strati sociali e la
ricchezza della diversità urbana;
b) il fatto che un'architettura di qualità,
migliorando il quadro di vita ed il rapporto dei cittadini con il loro
ambiente, sia esso rurale o urbano, può contribuire efficacemente alla coesione
sociale, nonché alla creazione di posti di lavoro, alla promozione del turismo
culturale e allo sviluppo economico regionale.
Incoraggia gli stati membri:
a) ad intensificare gli sforzi
per una migliore conoscenza e promozione dell'architettura e della
progettazione urbanistica, nonché per una maggiore sensibilizzazione e
formazione dei committenti e dei cittadini alla cultura architettonica, urbana
e paesaggistica;
b) a tener conto della
specificità delle prestazioni nel campo dell'architettura nelle decisioni e
azioni che lo richiedono;
c) a promuovere la qualità
architettonica attraverso politiche esemplari nel settore della costruzione
pubblica;
d) a favorire lo scambio di
informazioni e di esperienze in campo architettonico.
Da anni, ormai decenni, si leggono su
internet nei portali di architettura, sulle riviste di settore ed anche sui
quotidiani locali e nazionali, lunghe dissertazioni sulla qualità
dell’architettura in Italia. Ma perché
in Italia, non possiamo godere della qualità? Perché i nostri amministratori,
politici ed esperti del settore non si sono impegnati per far vivere le nostre
città contemporanee, perché si è abbandonato il senso dell'arte che il nostro
paese ha fatto conoscere in passato al mondo intero? E' ora di dire basta con
gli scempi, basta con la bruttezza, basta con scatole preconfezionate, nelle
quali noi non ci riconosciamo più, basta con le canoniche colate di cemento
senza anima e senza identità. Ogni luogo ha il suo personale
"spirito", interazione tra luogo e identità, tra cultura e senso
civico, tra linguaggio e ambiente. Il rilancio della qualità nell'architettura
passa attraverso dibattiti, formazione e informazione, tre necessari strumenti
attualmente assenti nella nostra vita quotidiana, la qualità nell'architettura
deriva anche da una forte sensibilizzazione dell'opinione pubblica attraverso
l'uso di canali convenzionali quali tv, giornali, e soprattutto internet.
Bisogna puntare su una elevazione culturale a partire da chi vive la città,
fino a chi la amministra, negli ultimi anni in Europa è, infatti, cresciuta la
consapevolezza dell’importanza del ruolo giocato dalle città nel guidare
l’innovazione e la crescita economica locale e similmente è andato aumentando
il bisogno di sviluppare strategie di rinnovamento urbano. L'appartenenza ad un
sistema Europeo, e non più semplicemente locale, ha determinato la necessità di
fissare nuovamente alcuni elementi per ridefinire l'identità urbana, esclusiva,
unica e preziosa per riconoscersi in un percorso interiore di appartenenza. La
città contemporanea, riprendendo un concetto caro al sociologo inglese John
Urry, diventa oggetto di «consumo
visuale» (Urry 1995), ovvero di fruizione estetica, e i valori positivi che
l’immagine della città porta con sé fanno della città stessa un marchio per i
prodotti e le attività che hanno luogo sul suo territorio. In tale contesto
progettare trasformazioni dello spazio urbano significa investire nella
produzione di luoghi che si prestano al consumo visuale ovvero incentivare la
fruizione estetica della città. Lo strumento del Concorso, seppure non
perfetto, rappresenta ad oggi in modo indiscutibile la miglior forma di
procedura ed è strumento ormai ordinario nei principali Paesi Europei, non così
in Italia ove è ancora una procedura poco e mal usata, l'uso del Concorso per
realizzare Opere Pubbliche deve essere uno strumento ordinario, sostanzialmente
obbligatorio, e tutte le Amministrazioni devono attrezzarsi per compiere questo
indispensabile salto qualitativo. Certo in Italia il tema dei concorsi in
architettura è stato spesso affrontato con superficialità, trucchi ed inganni,
ricordo un bellissimo sito internet www.arcaso.com ovvero “come
il caso, anzi l’Arcaso, accompagna l’architettura italiana”, che ormai
purtroppo on esiste più e di cui non ricordo il nome del collega che gestiva il
sito, nel quale smascherava periodicamente tutte le magagne rintanate
all’interno delle procedure dei concorsi. Per non parlare dei bandi di gara
costruiti ad arte per favorire sempre le stesse società di ingegneria, noti
studi associati e singoli professionisti di rango, che si accaparrano
affidamenti di incarichi professionali, solo perché posseggono forti requisiti
finanziari e curriculari, talune volte per quest’ultimi procedendo
all’avvalimento di altri gruppi consociati, con la complicità di legge, che non
tutelano la qualità, anzi producono progetti seriali di edilizia elencale, che
non hanno niente a che vedere con l’architettura. La realizzazione delle nuove
opere va affidata esclusivamente sulla base della qualità del progetto e non
affidandosi a quei gruppi di affari che si sono costruiti la capacità
finanziaria e l’esperienza facendo gli scempi che oggi ci ritroviamo. L’identificazione
del concorso di progettazione come alternativa, si basa sulla qualità della
prestazione professionale e non sul fatturato del progettista o sul ribasso
dell’onorario. Ciò che inficia alla radice la possibilità in Italia di
realizzare architetture pubbliche di qualità è l’aggiudicazione degli appalti
al minimo ribasso, criterio inconciliabile con i presupposti di qualità che
ogni architettura deve sottintendere, anche in rapporto ad un sistema
tecnologico sempre più complesso. E’ chiaro che inficiando alla base la
possibilità di realizzare buone architetture pubbliche, il problema dei
concorsi sembra quasi passare in secondo piano, a meno che non ci si
accontenti, come per anni è successo in Italia, di vincerli e non realizzarli,
situazione ricorrente nella maggior parte della casistica, o se l’opera viene
approfondita con livelli di progettazione successivi, questi vengono affidati ad
uffici tecnici che nella maggior parte dei casi snaturano l’essenza di prima
genitura contenuta nel progetto, venuta fuori dal concorso, per realizzare
manufatti di tutt’altro genere.
Carlo Gibiino
L’Italia non è più un paese per architetti
“Con il decreto Sblocca Italia DL. 133/2014, molto ridotto, il Governo Renzi – come peraltro accade tutti i giorni agli architetti italiani – ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore.
Il Decreto contiene, infatti, solo norme che sarebbero adatte ad un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro”. Secondo il Cnappc (consiglio nazionale architetti paesaggisti e conservatori), aver rimandato, nello Sblocca Italia, il Regolamento Edilizio Nazionale, non aver posto limiti temporali alla possibilità della P.A. di revocare un permesso o di cambiare le proprie decisioni, non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici (che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate), non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto, rappresenta “la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.
“ L’Italia non è (più) un Paese per architetti – denuncia il Cnappc -: redditi medi da ‘incapienti’, senza peraltro avere alcuna garanzia ‘sindacale’ né cassa integrazione né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98”.
Il nostro territorio ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere; le città sono il motore dell’economia, e possono essere considerate catalizzatori di innovazione e creatività, affinché ciò avvenga le dimensioni – sociale, culturale, economico, ambientale – della vita urbana vanno improrogabilmente messe in stretta relazione attraverso un approccio integrato. Il tema della rigenerazione urbana è di grande attualità e può contribuire a ridare vita alla discussione tecnica al fine di calibrare con maggiore successo sia gli strumenti normativi che quelli progettuali.
La programmazione finanziaria dell’Unione Europea offre nuove ed importanti opportunità per lo sviluppo urbano: quali creazione di lavoro, uso sostenibile delle risorse energetiche, mobilità sostenibile e riqualificazione urbana sono solo alcuni degli obiettivi strategici identificati per il cui adempimento sarà necessario non solo rafforzare il dialogo tra le amministrazioni pubbliche locali, ma anche e soprattutto incentivare gli investimenti. E’, dunque, indispensabile dotarsi di un piano strategico di rigenerazione che ponga gli obiettivi di qualità urbana ed architettonica, di risparmio delle risorse naturali ed energetiche, di efficienza e razionalizzazione della vita urbana, ad un livello prioritario; poiché primo destinatario della rigenerazione urbana sostenibile è e deve essere il cittadino, occorre una “rivoluzione civile e culturale” affinché si diffonda la consapevolezza dell’abitare.
La ricerca della qualità urbana passa attraverso approcci interdisciplinari che sappiano affrontare le diverse problematiche valorizzando le specifiche potenzialità locali, l’urgenza è quella di riqualificare spazi già esistenti e non valorizzati piuttosto che costruire ex-novo, anche per contribuire a ridurre la crescita urbana incontrollata e l’ulteriore consumo di suolo. Quello che si cerca di raggiungere con gli interventi di riqualificazione urbana è in definitiva una “sostenibilità” che abbia il triplice valore di benessere, sicurezza sociale e rispetto ambientale. “Dal punto di vista sociale, il coinvolgimento nel recupero urbano e i processi di partecipazione sono oggi divenuti estremamente importanti non solo per promuovere l’identità locale, la condivisione, l’appropriazione spaziale, ma anche per rispondere a fenomeni quali la marginalità, la concentrazione di migranti, l’esigenza di sicurezza, la presenza di fasce deboli della popolazione” (De Matteis M., La riconfigurazione degli spazi aperti, la densificazione e i sistemi naturali come strumenti per la riqualificazione delle periferie residenziali, progetto “Futuro in Ricerca” MIUR).
I programmi di rigenerazione urbana pongono maggiore attenzione alla sfera sociale e sono volti a combattere la povertà e l’emarginazione sociale, in questo senso, è possibile scorgere una nota evolutiva che va dal pragmatico recupero fisico -spaziale, ad una olistica rigenerazione che si sviluppa attraverso azioni di tipo sociale, economico, culturale ed ambientale. Ma non è tutto rose e fiori, secondo David Madden, docente di Sociologia e Programmazione Urbana alla London School of Economics, la rigenerazione urbana è stata un fallimento: “Rigenerazione urbana, secondo i suoi fautori, vuol dire mettere fine alla povertà. Purtroppo, la realtà è che la povertà viene solo spostata altrove si dice che i quartieri poveri avrebbero bisogno di rivitalizzazione come se l’assenza di vita -opposto ad impoverimento e perdita di potere- fosse il vero problema. Esclusione viene “riclassificata” come “rigenerazione”. La missione liberale di “incrementare la diversità” è utilizzata ampiamente come scusa per allontanare i residenti originali dalle loro aree, in zone come Harlem e Brixton -aree celebri per la lunga storia di lotta politica e diversità culturale – al termine del processo di gentrificazione, si plaude alla vittoria sulla “povertà” ignorando il fatto che il disagio è stato solo spostato altrove”. (www.theguardian.com).
In conclusione, la rigenerazione urbana come strumento può offrire grandi opportunità di sviluppo, ma è bene prendere in considerazione anche gli aspetti fallimentari che sono venuti a galla nei processi precedenti per avere una visione quanto più ampia possibile, evitando gli errori del passato. Probabilmente non è il nostro caso in Italia, ma soprattutto in Sicilia, tutto deve rimanere così com’è il cambiamento ci fa paura…chissà perché poi. Siamo entrati nel III millennio, la nostra vita sta, se pur lentamente cambiando, cambiano le abitudini, il modo di vestire, il modo di mangiare, cambiano i concetti e le definizioni, il modo di incontrarsi e fare amicizia.
Il concetto di “Moderno” è ormai “Antico”, più che mai quello di “Contemporaneo”. Io intendo come contemporaneo tutto ciò che è presente oggi, in questo momento, in questo preciso istante, davanti a noi: è quello che costruiamo oggi; tutto il resto è passato.“Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre” (Winston Churchill).
Carlo Gibiino
Il sistema Italia crolla a pezzi
“
La
fiducia espressa dai cittadini nei confronti delle istituzioni, nonché la
partecipazione civica e politica, favoriscono la cooperazione e la coesione
sociale e consentono una maggiore efficienza delle politiche pubbliche. Queste
dimensioni sono direttamente correlate alla posizione (status) degli individui,
ai legami interpersonali, nonché alle reti sociali e alle norme di reciprocità
e fiducia che si formano a partire da questi legami. Inoltre il rapporto
trasparente con le istituzioni pubbliche e private che operano in campo
politico, economico e sociale, la loro efficienza e il livello di gradimento
per il loro funzionamento rafforzano la fiducia istituzionale e interpersonale.
Al contrario, una diffusa discrezionalità nelle regole, la scarsa trasparenza e
la corruzione agiscono negativamente sulla fiducia nella possibilità di
realizzare una società equa di cui tutti possano sentirsi cittadini a pieno
titolo”. (fonte: ISTAT- l’importanza di efficienza e trasparenza- rapporto BES
2014).
Tutto
questo si traduce ovviamente in un declino culturale, sociale e pedagogico, il
popolo italiano è ormai abituato a sentir parlare di crolli, degrado urbano,
discariche a cielo aperto, aree abbandonate e ovviamente corruzione,
concussione, peculato e quant’altro, che non ci fa più caso, è diventata una
situazione di normalità, a differenza
dei paesi del Nord Europa in cui è viva la partecipazione pubblica ai
problemi dell`urbanistica e all`integrazione dell`architettura con
l`urbanistica stessa. Anni addietro conobbi un ragazzo spagnolo, io ero da poco
laureato, dopo i primi convenevoli, arrivammo a toccare temi più complessi ed
impegnativi, parlammo di architettura ed urbanistica e devo dire che mi tenne
testa benissimo nonostante non fosse un cultore della materia, non in senso
scolastico. Capii che la differenza tra me, laureato in architettura, e lui
musicista, era l’esperienza esperita. Sono stato diverse volte in Spagna, e
posso testimoniare come l’architettura contemporanea, l’urbanistica moderna ed
il design sono sempre più presenti nel territorio iberico, Madrid, Bilbao,
Barcellona e Valencia lo dimostrano, l’architettura d’avanguardia è presente in
tutta la penisola. Nel frattempo in Italia, continuano gli scempi per sfigurare
le prestigiose architetture ed opere d’arte del passato, si cerca ancora di
vivere di “rendita” senza capire che i fasti di un tempo lontano non possono
coprire il gap che si è venuto a creare con gli altri stati membri dell’UE,
così si continua a legiferare in maniera spasmodica senza mai passare all’atto
pratico.
L’articolo
9 della Costituzione della Repubblica Italiana recita: “…La Repubblica promuove
lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il
patrimonio storico-artistico della nazione…”, codificando ad altissimo livello
la protezione giuridica del Patrimonio Culturale italiano. Cosa si intende per
Patrimonio Culturale? Il Patrimonio Culturale è un insieme organico (di opere,
monumenti, musei, case, paesaggi, città, costumi e tradizioni) strettamente
legato al territorio che lo ha prodotto. Questo patrimonio, nel suo complesso,
costituisce un elemento portante della società civile e della identità
dell’Italia tutta. Rappresenta la ricchezza di – un paese, una città, una
nazione, o qualunque settore giuridicamente circoscritto – o anche di un
soggetto a cui il patrimonio fa capo (un ente privato, un ente pubblico, un
museo ecc.) sul piano culturale e su quello economico, restando destinato alla
fruizione collettiva. In altri termini è un insieme di beni materiali e
immateriali, la cui espressione immateriale (musei, opere d’arte, case,
paesaggi) serve anche a richiamare la parte immateriale costituita dalla
cultura, dalla lingua, dai modi di pensare comuni. E allora perché continuiamo
a perdere il nostro patrimonio? Nel Marzo 2014 nell'area archeologica di Pompei
(Napoli) sono avvenuti altri due crolli. I cedimenti hanno riguardato il Tempio
di Venere e un muro di una tomba della necropoli di Porta Nocera, probabilmente
a causa delle forti piogge. Lo ha
comunicato la Soprintendenza per i beni archeologici: “la muratura, interessata
da alcune lesioni, era già stata puntellata, l'area è stata interdetta al
pubblico”. Si è verificato anche un crollo del muretto di una tomba della
necropoli di Porta Nocera. Il muretto, alto circa 1,70 metri e della lunghezza
di circa 3,50 metri, serviva da contenimento del terreno in cui erano state
poste le sepolture ed era costruito contro-terra. Tutti gli accessi alla
necropoli sono stati chiusi e gli scavi resteranno interdetti al pubblico fino
al completamento delle verifiche del caso e al ripristino del muretto. E questo
è solo uno dei tanti esempi e scempi che si continuano a perpetrare nel nostro
territorio. L’Italia è un paese colmo di beni artistici e culturali da far
invidia al pianeta, ma non riusciamo a tutelarlo come si deve. I beni culturali
devono essere riconosciuti, conservati e protetti, ma devono essere anche
divulgati, utilizzati e resi fruibili e accessibili. Pertanto, la tutela oltre
ad indicare l’interesse culturale del bene, il suo radicamento nel territorio
storico, responsabilizza i soggetti proprietari e gestori indicando i valori da
tutelare e propone un disciplinare per l’uso del bene personalizzato, mettendo
al centro i beni culturali di un territorio, la loro identità, il loro rapporto
con la gente, in una prospettiva di sviluppo.
Altro
esempio di scempio, nel Dicembre 2014 appena inaugurato, alla vigilia di
Natale, crolla prima di Capodanno il viadotto Scorciavacche sulla
Palermo-Agrigento, chiuso al traffico da Anas l’ultimo giorno del 2014. La nota
tecnica dell’azienda parla di “un anomalo cedimento del piano viabile in
corrispondenza del rilevato retrostante della spalla del viadotto”. Metà
carreggiata in pratica è letteralmente sprofondata e la restante presenta una
profonda spaccatura. Per fortuna nessun veicolo transitava quando è avvenuto il
collasso dell’arteria. L’Anas ha dunque deciso di chiudere alla circolazione
veicolare la strada statale 121 del tratto tra il chilometro 226 e il
chilometro 227 nei pressi di Mezzojuso. Da Nord a Sud il sistema Italia crolla
a pezzi, sotto il peso della corruzione, delle tangenti, del malcostume
legalizzato, della mala-politica che ormai permea tutto il tessuto sociale
italiano. Regioni, Province, Comuni, parlamentari, consiglieri regionali,
provinciali, comunali, presidenti di regione, assessori, ministri, tutti a
praticare il "pizzo legalizzato", a pensare agli interessi personali
a scapito di quelli della collettività, della "RES PUBBLICA", concetto che ormai si è perso nella notte
dei tempi, e la cosiddetta "società
civile"- il popolo, resta in balia di governanti senza scrupolo e
politicanti, che invece di fare il bene comune, stanno costringendo le persone
per bene, muniti di buon senso, a fare prove tecniche di rivoluzione, ma più
che rivoluzione direi emigrazione, il tutto condito da uno squallore
nauseabondo. Sempre più italiani lasciano l'Italia, per andare a vivere altrove,
per la prima volta, come si legge sull' Huffington Post, in Italia sono più
quelli che emigrano che quelli che arrivano. Certe notizie mi lasciano davvero
a bocca aperta, mi faccio mille domande alle quali non trovo le risposte
giuste, e mentre mi perdo tra i mille perchè ???, guardo con interesse quello
che succede nel resto d'Europa, lo vedo, lo vivo, lo condivido e apprezzo
quello che di buono c'è, come critico quello che di buono non c'è, bisognerebbe
imparare a viaggiare, a conoscere, ad apprezzare a condividere. I viaggi
servono ad aprire la mente; Proust diceva: "Il
vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre ma nell'avere
nuovi occhi. Che si viaggi per piacere, per lavoro, per amore o per inseguire
un sogno, è sempre qualcosa che introduce nella mente il cambiamento e il
movimento”. Auguro all'Italia, al mio bellissimo paese, di ritrovare il
proprio cammino fatto di prosperità, ricchezza, gioia e voglia di fare,
ripercorrendo i fasti del passato, tra arte, architettura, letteratura, grandi
invenzioni, uomini e donne che hanno contribuito a fare di questo paese un
esempio da seguire.
Carlo Gibiino
Assenteismo istituzionale ingiustificato
Negli
ultimi anni sono stati emessi provvedimenti vessatori ed inutili che hanno reso
la professione sempre più difficile e meno remunerativa, obbligo di POS,
abolizione delle tariffe minime, studi di settore per fare qualche esempio.
Fino a due decenni addietro essere architetto significava avere una certa
posizione sociale e quindi economica, oggi invece non è rimasto nulla dei fasti
del passato. In Italia fa “carriera”
il disonesto, l’imbroglione, il furfante siamo nuovamente in schiavitù, o forse
lo siamo sempre stati e non ce ne siamo accorti. Certo il benessere nasconde le
condizioni indigenti, ma oggi che le condizioni di benessere si sono ristrette
a pochi eletti che sfruttano le idee e il lavoro degli altri per speculare,
sono venute a galla difetti ed imperfezioni di un sistema assurdo, obsoleto e
mafioso. Il lavoro non manca, e non mancherebbe, ma le condizioni sono sempre
le stesse in tutto il paese, retribuzioni per lo più assenti o talmente minime
da essere assoggettate al grado di sfruttamento. Prendiamo ad esempio stage e
tirocini, percorsi obbligati che dovrebbero avere il compito di trasmettere un
insegnamento e preparare il giovane neolaureato al mondo del lavoro. Ebbene,
durante i suddetti periodi, il giovane laureato viene usato solo ed
esclusivamente per avere manodopera fresca e gratuita, è infatti usanza diffusa
interrompere la collaborazione finito il periodo di tirocinio ed intraprenderne
un altro, piuttosto che continuare a formare il giovane retribuendolo. Per non
parlare di orari di lavoro estenuanti, flessibilità che vuol dire lavorare
anche il sabato e la domenica, dove le ferie sono un sogno e la pensione un
miraggio. Sono pienamente convinto che nessuno dovrebbe accettare queste
assurde ed insensate regole di mercato, solo in questo modo si può sconfiggere
il sistema mafioso che lo stato protegge, e in qualche modo ha contribuito a
creare. Anche perché lo status appena descritto non vale solo per i giovani
neolaureati ma è, purtroppo, pratica diffusa anche per i meno giovani, per chi
cerca lavoro ed è magari altamente qualificato. E’ ora di dire BASTA a questo
assurdo ed insensato sistema, rifiutare di lavorare gratis o con miseri
compensi è la strada giusta per cambiare, se tutti rifiutassero di
assoggettarsi a queste deplorevoli regole, esse stesse sarebbero costrette ad
adeguarsi cosicché le aziende e gli studi professionali, sarebbero obbligati o a
lavorare senza manodopera, oppure a trattare i dipendenti in maniera equa. “Essere accondiscendenti per debolezza e per
paura è... fatale” ( Winston Churchill). A tutto ciò si unisce un
considerevole spreco di risorse umane e di competenze. Alle imprese, agli studi
professionali non interessa formare un gruppo di lavoro coeso e stabile, non
vogliono più instaurare un rapporto continuativo, non è conveniente da un punto
di vista economico, ormai si guarda solo al presente e invece è un grosso
sbaglio. Sono convinto che le risorse umane siano il pilastro di una società,
qualunque essa sia, soprattutto se ci si trova di fronte ad eccellenze le
stesse devono essere premiate perché si distinguono per impegno e capacità nei
confronti di altri. Ma la politica meritocratica non è contemplata dallo Stato
Italiano, che preferisce attingere le proprie risorse utilizzando altri canali
“clientelari” e questo spiega come l’assenza di valori abbia prodotto una
classe dirigente debole ed incapace a differenza di altri paesi Europei e non,
dove il sistema meritocratico ha prodotto e continua a produrre classi
dirigenti forti e capaci, come ad esempio nei paesi Scandinavi o nel nord
America. La debolezza dello Stato Italiano è riuscito a creare una certa
sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia, della scuola, della
sanità, la quale implica una chiusura verso se stessi disincentivando l’impegno
pubblico. Tutto ciò si evince dai dati EURISPES nel rapporto 2013 - la fiducia
dei cittadini nelle istituzioni - : “Lo scorso anno segnalavamo come il dato
sul fronte della sfiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni fosse
il più alto registrato, rispetto alla serie storica 2004-2012, segnando un
trend in crescita che non si è mai arrestato negli anni considerati e, quindi,
un graduale inesorabile divario e una distanza insanabile tra il corpo sociale
e tutte quelle realtà istituzionali che dovrebbero essere preposte a
rappresentarlo, ma che di fatto hanno dimostrato di vivere “arroccate nel
Castello”, completamente avulse dalle istanze e dai bisogni reali dei
cittadini, asfittiche e autoreferenziali. Per il 2013 ancora dobbiamo
evidenziare un ulteriore peggioramento nel giudizio degli italiani nei
confronti delle Istituzioni e un grado di sfiducia che sale dal 71,6% del 2012
al 73,2% del 2013”. Una politica sempre più lontana dai cittadini attraversa
tutto il “Bel Paese”, la popolazione è sempre meno partecipativa ai processi
sociali e si informa saltuariamente, stiamo assistendo, nostro malgrado, ad una
continua degenerazione del senso civico.
Carlo Gibiino
Carlo Gibiino
" Serve una “spintarella”
1 1. Diventare docente universitario è una cosa molto
complessa, è una strada lunga e faticosa. Si comincia con la formazione post lauream, magari vincendo un concorso
per accedere ad un dottorato di ricerca. Conseguito il
dottorato, in un tempo minimo che va generalmente dai tre ai quattro anni, se
l’intenzione è di proseguire la carriera universitaria potreste inserirvi in un
programma post dottorato, continuando il lavoro di ricerca e
realizzando quante più pubblicazioni scientifiche possiate, per accrescere il
vostro curriculum vitae. Terminati gli studi post
lauream, ed in attesa di un concorso da ricercatore, si può tentare di ottenere
un assegno di ricerca. Anche in questo caso si tratta di un concorso
indetto dalle università ed, in molti casi, per vincerlo si necessita di una
“spinta” da parte del docente che lo ha bandito. Il passo successivo, per
proseguire la strada della carriera universitaria, è rappresentato dal concorso
per diventare ricercatore, indetto dalle singole università. Per
avere qualche possibilità di vincere, dovete avere un ricco curriculum
scientifico, pieno di pubblicazioni e svolgere un tema scritto ed un orale
eccellente. Il ricercatore rappresenta quindi la prima vera figura di ruolo
della carriera universitaria. Nell’ascesa della vostra carriera universitaria a
questo punto siete immediatamente sotto la carica di professore associato,
ruolo raggiungibile per concorso pubblico con tempistiche e svolgimento
identiche a quelle di ricercatore. Identico meccanismo di assunzione lo
troverete per la carica di professore ordinario che nella
vostra carriera universitaria rappresenta la più alta qualifica, per un docente
titolare di cattedra (fonte: http://www.universita.it/carriera-universitaria/). Bene,
in base alle informazioni appena descritte, possiamo fare un rapido conto per
capire quanto tempo ci vuole per diventare professore associato, ci sono sei
gradi da passare in un tempo medio di tre anni per ogni grado, per cui 6x3 = 18
anni. Allora come è possibile che nel 2000 mi ritrovai un docente di 33 anni
con la qualifica di professore associato? Tutt’oggi per me resta un mistero e
faccio i miei migliori auguri a quel docente che comunque era ed è molto
preparato, disponibile al dialogo e di grande cultura. Come del resto era il
padre, seguii con molto interesse le sue lezioni e all’esame si dimostrò un
docente che sapeva fare il suo mestiere;
2. girava voce che senza “spintarella” era impossibile accedere al dottorato di ricerca.
2. girava voce che senza “spintarella” era impossibile accedere al dottorato di ricerca.
Per cui quando mi si propose questa splendida occasione,
accettai entusiasta. Nonostante di retribuzione non se ne parlava, mi buttai a
capofitto, anima e corpo, in quel mondo che conoscendolo sempre più da vicino e
soprattutto dall’altro lato della cattedra, mi affascinava sempre più. Aiutavo
a preparare le lezioni, assistevo i ragazzi durante i laboratori e partecipai
agli esami finali. Mi sentivo molto coinvolto ed anche abbastanza responsabile,
per questo cercai di farlo in un modo quanto più coscienzioso possibile.
Durante quel periodo però, capii anche che quanto detto nei due punti
precedenti, corrisponde a verità, per cui io non avrei mai avuto la più piccola
“chance” di poter intraprendere quella
carriera che avevo sognato nel recente passato.
Carlo Gibiino
Cosa c’entra la bellezza?
Dopo una considerevole iniezione di autostima, per gli
apprezzamenti ricevuti e per le soddisfazioni professionali ed economiche, mi
dirigo verso l’aeroporto pronto a volare verso la Sicilia, è Natale, ma deciso
più che mai a ripartire in tutti i sensi. Durante le ferie natalizie, a causa
purtroppo di un problema familiare, non riesco a progettare la mia emigrazione,
incontro un caro amico che lavora tanto, e mi propone una collaborazione molto
interessante. Penso, rifletto, prendo una decisione….resto in Sicilia, amo la
mia terra e se riesco a fare il mio mestiere, ad avere soddisfazioni
professionali ed economiche e nel frattempo dedicarmi alle problematiche
familiari, mi sembra un ottima decisione. Prendiamo degli accordi e cominciamo
a lavorare insieme. Il lavoro non manca, ci sono tanti progetti da sviluppare
e, rassicurato anche dalle prospettive economiche, mi lancio a capofitto come
sono solito fare in questa nuova direzione. E’ un ambito nuovo per me, si
tratta di costruzioni dedicate all’imprenditoria agricola prevalentemente con
strutture in acciaio. Per cui comincio a studiare la materia e la numerosa
letteratura esistente, per cercare di farmi una cultura storica e progettuale.
Pieno di entusiasmo propongo nuove idee, credo nella composizione
architettonica che possa dare una nuova veste a strutture fino ad oggi
abbastanza standardizzate, credo nell’architettura come missione per
armonizzare il mondo, Alvar Aalto disse: “rendere
lʹarchitettura più umana significa fare
architettura migliore, e significa anche allargare il concetto di funzionalismo
oltre il limite della tecnica. Questa meta può essere raggiunta solo con mezzi
architettonici, creando e combinando le tecniche, così che si possa offrire allʹuomo
lʹesistenza più armoniosa possibile”. Conscio
della devastazione territoriale ad opera di una edilizia perpetrata in nome di
un unico obiettivo, il denaro, condita da appalti truccati a favore
dell’imprenditore di turno, edifici progettati da “ragionieri”, mazzette,
concussioni e quant’altro, decido che nel mio piccolo, posso dare un contributo
alla riqualificazione territoriale e alla perdita di identità. Certo, queste
sono tematiche che dovrebbero e devono essere affrontate in ambiti più estesi,
coinvolgendo le amministrazioni locali e nazionali attraverso una
programmazione urbanistica volta al reperimento degli standard minimi
accettabili per preservare, migliorare e ristrutturare un
territorio fortemente violentato da scellerate scelte speculative a danno della
qualità urbana, con fenomeni di accelerazione esponenziale del consumo di
suolo, dissesti idrogeologici, inquinamenti elettromagnetici ecc.. Sappiamo
bene che ai nostri politicanti, certi argomenti non interessano, ma preso
dall’impeto che forse qualcosa di buono per la mia terra posso farla, comincio
a proporre le nuove idee. Nel frattempo
intercetto una interessante opportunità a favore dei Comuni per la
sostenibilità e l’efficienza energetica relativo alla concessione di contributi
a fondo perduto per la realizzazione di interventi di efficientamento
energetico e/o di produzione di energia da fonti rinnovabili a servizio di
edifici di Amministrazioni comunali delle Regioni Convergenza Calabria,
Campania, Puglia e Sicilia) afferente al FESR 2007/2013. Decido di segnalare il
bando all’assessore di riferimento e ai dirigenti dell’UTC, sono convinto che
sia una opportunità da non perdere, ci sarà un risparmio per tutti i cittadini.
Dopo le normali 26 ore di anticamera, riesco finalmente a parlare e ad esporre
i contenuti del bando, mi dicono che da poco è stato istituito un ufficio
Europa che si occupa proprio di intercettare fondi europei, bene !!! mi dico,
ancora meglio, forse ne sono già a conoscenza e stanno lavorando per noi
(cittadini). Ovviamente non era così. Nasce, a parole, l’intenzione di
sfruttare i fondi, ma siamo nel mese di Luglio, i dipendenti devono andare in
ferie, poi c’è Agosto e i dipendenti vanno in ferie, poi arriva settembre e il
bando è scaduto. Purtroppo conosco molto bene le politiche politicanti dei
politici, non ero certo nuovo a queste cose. Ricordo che tanti anni addietro,
collaborai alla stesura di un fantastico progetto relativo ad una cittadella
dello sport. Riprogettammo una vasta area dismessa e degradata ai fini di poterla
restituire alla città composta da un percorso salute, una pista di MTB, due
campi di basket, che all’occorrenza potevano essere trasformati in campi di
calcetto a cinque o tennis, un campo di calcio a otto e una pista per auto
modellismo. Incontri, conferenze stampe, presentazione del progetto, soldi
stanziati, tante chiacchiere ed infine il nulla. Non solo, pur avendo in mano
le carte, non ricevetti neanche un euro per il mio lavoro, ma ricordo
benissimo, non riuscii nemmeno a recuperare le somme da me spese
anticipatamente. Lottai e continuo a lottare per ciò che mi spetta, anche con
quell’azienda dei render, ma fino ad oggi solo un pugno di mosche. Tentai
diverse volte, nella mia ingenuità, di collaborare con l’amministrazione, di
proporre progetti per valorizzare il territorio locale, per avvantaggiare la
cittadinanza tutta ai fini del risparmio economico, ricevetti solo promesse,
belle parole, e calci in culo. Generalmente non mi arrendo facilmente combatto
da buon praticante di arti marziali, fino alla fine, ma come dice Bruce Lee, “la fine giunge solamente quando tu decidi
che sia finita”, io ho deciso. Non posso continuare a parlare con chi non
vuole ascoltare, non posso perdere il mio prezioso tempo inutilmente, ho troppe
cose da fare ancora in questo cammino chiamato vita, non posso sottomettermi a
squallide tecniche di sfiancamento perché così è stato deciso, non ho padroni,
non ho santi, sono un uomo libero e tutto quello che di buono ho fatto nella
mia professione, l’ho fatto con testardaggine e buona volontà, cammino a testa
alta senza dovermi sentire in obbligo verso qualcuno o qualcosa. Ma la città,
sebbene passiva, non dimentica. Nel 2006 acquistai un blocco di pietra locale,
cosiddetta di “Sabucina”, e creai un evento che a Caltanissetta non si era mai
visto, scolpire un blocco di pietra di due tonnellate dal vivo in una
settimana. Contatto un bravo scultore, gli proposi l’iniziativa che accettò di
buon grado, dicendomi che cose di questo genere le aveva viste solo all’estero.
L’artista fu di parola in una sola settimana scolpì quell’enorme ammasso di
pietra trasformandolo in un oggetto d’arte. Nonostante i soliti malumori, la
risposta della cittadinanza fu molto positiva. Dovetti lottare altri due anni
per far posizionare la scultura intesa come arredo urbano, un regalo che noi
come associazione e lo scultore ci prendemmo la briga di fare alla nostra
città. Nessuno all’interno dell’amministrazione di allora sembrò
interessarsene, finita la scultura e fatta la loro campagna elettorale, tutto
era finito nel dimenticatoio. Mi sembrò più che corretto e lo rifarei ancora
oggi, finire quello che avevamo iniziato. Come al solito belle parole e niente
più. Cosa centra tutto questo con la professione di architetto? Apparentemente
nulla, ma io mi sento in primis cittadino che ama la propria città, e se
all’abbellimento non ci pensa chi è pagato per farlo, allora ci penso io. Cosa
centra la bellezza? "Se si
insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione,
la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con
tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta
facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e
presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il
solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per
questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e
donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre
vivi la curiosità e lo stupore (Peppino Impastato)".
Mio padre mi diceva sempre, quando ero piccolo, “mi raccomando non fare mai società con
nessuno e specialmente con amici e parenti”, bhè…aveva ragione, ma
purtroppo io sono testardo, se non lo vedo non ci credo, così, prima di
lavorare nell’ambito dell’imprenditoria agricola, avevo fatto la mia prima
società (società di servizi) con il mio miglior amico di quel tempo, era all’incirca
il 2006. Avevamo unito le forze per lavorare, ognuno con il proprio ambito, e
mentre continuavo imperterrito a credere nella professione di architetto, mi
impegnavo in questa direzione comunitaria. Date le conoscenze acquisite tramite
le mie esperienze pregresse, contatto un cliente per proporgli un lavoro. Egli
accetta di buon grado, per cui cominciamo a stendere le prime idee progettuali
ed a sottoporgliele, durante i nostri incontri parlammo ovviamente del
compenso, e in quel momento, come un “uroboro”, il tempo sembrò fermarsi e
riavvolgersi all’infinito. Capii che se volevamo andare avanti, dovevamo
trovare un compromesso….il solito compromesso….ovvero soldi non c’è né!!! Dopo
circa due ore di chiacchiere, incontri, scontri, insulti, riucii ad ottenere un
ottimo compromesso, i soldi erano spuntati, certo non tutti ma pensai che con
un piccolo sconto sia il cliente che noi potevamo essere soddisfatti. Per cui
torno allo studio e spiego le nuove condizioni ai miei soci. Ebbene il mio
migliore amico mi mandò a fare in culo, non ho mai capito bene quale
motivazione. Bhè…la motivazione ufficiosa era che lui voleva e pretendeva
assolutamente quanto stabilito, per cui se qualcuno doveva percepire una
riduzione di onorario… quello ero io. Basito e scioccato dalle dichiarazioni e
dalle parole forti che uscirono dalla sua bocca, gli chiesi di calmarsi e
riparlarne il giorno dopo. Ebbene il giorno dopo arrivato allo studio, lo
trovai semivuoto, il mio migliore amico se ne era andato senza avvisare me o il
proprietario di casa lasciandomi in mezzo ai debiti (affitto e utenze da
saldare), nonché il progetto sfumato. Avevo imparato a non fidarsi delle
amministrazioni pubbliche, a non fidarsi degli estranei, adesso avevo imparato
che mio padre aveva ragione. Come al solito mi rimboccai le maniche e continuai
imperterrito nella mia missione: diventare Architetto! Carlo Gibiino
L’architetto non si paga
Jens mi dice che non ha più voglia di studiare e che non
appena finito l’anno sabbatico sicuramente troverà lavoro, perché in Danimarca
non è un problema.
I giorni passano velocemente, e gli ospitanti mi fanno
veramente sentire a casa, tanto che mi preparano degli ottimi pasti, quasi mi
viziano, una sera addirittura la “matrona”,
mi prepara un gustoso piatto di lasagne al forno, oltre che piatti tipici della
cucina Danese. Anche io contribuisco alle delizie del palato, gli preparo un
risotto ai funghi, una pasta alla norma, la classica pasta asciutta, involtini
di carne, addirittura la pizza, il cibo oltre ad essere espressione della
cultura di un popolo è indice della nostra identità e della nostra
appartenenza, e stimola la conversazione.
Una sera mi portano anche a cantare in un coro gospel, di cui
fanno parte, conosco tanta altra gente di differenti età, tutti ovviamente
parlano inglese, usano tablet, pc e cellulari di ultima generazione, e si
mostrano abbastanza ospitali e calorosi.
I l lavoro continua, comincio a redigere alcune ipotesi
progettuali, realizzo un modello tridimensionale, eseguo alcuni render e ne
parlo con i committenti, i quali restano piacevolmente colpiti dal mio lavoro,
ovviamente tra le tre ipotesi fatte la scelta (come sempre) ricade sulla prima,
ci confrontiamo nascono nuove idee e spunti, esigenze e pian piano si va
delineando il progetto definitivo. In Danimarca, la legislazione urbanistica,
come quella civile, è molto snella, pochissime norme semplici e facili da
seguire, non ci sono richiami, postille, decreti del presidente della
repubblica, del senato del consiglio, non ci sono contraddizioni, tutto si
svolge nella massima serenità e velocità. Nel giro di circa 30 giorni finisco
tutta la fase progettuale, mi riempiono di complimenti mi pagano immediatamente
e mi dicono “grazie”…..mi sento commosso, nessuno mi aveva mai detto grazie in
Italia, neanche quando sono riuscito a risolvere problemi normativi
apparentemente insormontabili, neanche quando il cliente al momento del
pagamento mi inizia a stonare la testa con la solita “tiritera” di convenienza:
è un momento di crisi, non ci sono soldi, devo risparmiare ecc…. e lì comincia
un balletto sgraziato attorno al prezzo già convenuto e accettato. Mi pongo
domande ma non riesco a darmi alcuna risposta. Se non hai i soldi, perché ti
impegni a spenderli? Perché quando un architetto chiede il suo onorario
chiunque è sempre insoddisfatto? Perché l’architetto non si paga o si paga come
qualcuno che chiede l’elemosina? L’architetto non mangia, non beve, non ha un
mutuo, non ha famiglia…..non ha studiato e non è preparato!!! Ma cosa vuol dire
essere un buon architetto in Italia? A questo so rispondere. In Italia essere
un buon architetto, anzi il migliore, significa dichiarare il falso,
architettare sotterfugi per far passare, in deroga o meglio ancora senza
farsene accorgere, illeciti edilizi commessi o in fase di realizzazione,
significa far fare al proprio committente tutto quello che vuole in barba a
leggi, norme, decreti ecc….significa fare il passacarte, avere amicizie
politiche e trasformare il carbone in oro anche quando non è carbone. In più se
riesci anche a portare la colazione durante le fasi di cantiere, sei veramente
il più bravo in assoluto. Bene !!!! si fa per dire….chiarito che il cliente ha
trovato il miglior architetto sulla piazza, egli può diventare, nel giro di
poche ore, il peggiore in assoluto, quello da evitare come la peste nera e
soprattutto da non pagare assolutamente, tanto cos’ha fatto??? Per due linee e
quattro fogli scritti…. Ma di chi sono le responsabilità di tutto questo? Sono
politiche e culturali. Cominciando dal sistema scuola che fa acqua da tutte le
parti, soprattutto le Università, chi uscendo dall’università italiana può dire
di saper fare il proprio mestiere? Al momento non ne conosco. L’università, per
definizione, è una istituzione scientifico-didattica e culturale in senso
ampio, pubblica o privata, che rappresenta il più alto livello di istruzione,
ed è articolata in facoltà dove si svolge la didattica e in dipartimenti dove
si effettua la ricerca. Si avete letto bene, rappresenta il più alto grado di
istruzione. Le Università hanno l’obbligo morale, culturale e didattico di
insegnare una professione, ma in realtà così non è.
Primo: il numero chiuso per entrare in un corso di studi non
ha completamente senso, oltre ad essere anticostituzionale è una farsa, non si
può negare il diritto allo studio e se lo Stato vuole fare selezione, la stessa
la si deve fare all’interno delle Università e non fuori.
Secondo: le Università Italiane sono esasperatamente teoriche
a discapito della inesistenza della pratica. Prendiamo l’esempio egli studi di
architettura; in cinque anni di alto grado di istruzione, noi studenti, non
siamo mai andati in un cantiere, non ci hanno mai fatto redigere un computo
metrico, per non parlare della gestione di un cantiere, della direzione dei
lavori, della conoscenza dei materiali, delle prove di laboratorio. Essere
Architetto significa essere operaio, muratore, carpentiere, gessista, significa
essere un maestro d’arte qualificato. Le università hanno bisogno di una riforma
culturale e istituzionale. Formare professionisti non vuol dire solamente
studiare i principi e le filosofie dei maestri del passato, ma significa anche
e soprattutto comprenderne le varie tecniche. “ L'architettura, disciplina dell'edificare, sceglie, dirige e
giudica i contributi pratici e teorici di molte altre scienze ed arti. (…) il
vero architetto dovrà possedere doti intellettuali e attitudine all'apprendere…
Sia perciò competente nel campo delle lettere e soprattutto della storia, abile
nel disegno e buon matematico; curi la sua preparazione filosofica e musicale;
non ignori la medicina, conosca la giurisprudenza e le leggi che regolano i
moti degli astri... (Vitruvio, architetto del I secolo a.C., De architectura)”.
Ma
come possiamo apprendere senza insegnamento?
Studiare in Italia è diventato un passatempo per i giovani ed
un investimento inutile per i genitori che spesso devono anche fare debiti per
sognare di dare un futuro migliore a propri figli. Quale futuro? Non ci sono
prospettive per i laureati, tanto che nel 2014 gli espatriati sono stati
101.297 con una crescita del 7,6% rispetto al 2013, è questo il quadro che
emerge dal Rapporto Italiani nel mondo 2015 della Fondazione
Migrantes. Secondo i dati Istat l’investimento in capitale umano che viene
perso per l’espatrio dei laureati ammonta a 851 milioni.
Carlo Gibiino
Se non fossi ottimista sarebbe impossibile essere architetto
Stando ai dati
reddituali diffusi dagli esperti,
volendo calcolare la pensione media di un un giovane che si iscrive a Inarcassa
nel 2013 a 28 anni, con un reddito annuo medio di partenza che oggi è pari a
10.000 - 12.000 euro, andando in pensione nel 2050 a 65 anni, percepirà 11.000
euro, contro i 27.000 euro delle vecchie pensioni, pari al 34% del reddito, con
un abbattimento di oltre il 60% delle retribuzioni prima della riforma. Ovvero
contributi, vincolati per trent’anni, che saranno restituiti con un rendimento
dell’1%. Ancora oggi, secondo i dati
inarcassa, un professionista del Sud Italia dichiara un fatturato intorno i
13.000 Euro, ma come possiamo affrontare tutte le spese con redditi così bassi?
Tra IVA, cassa di previdenza, imu, tarsu, tasi, affitto e relative utenze che
nel nostro caso sono raddoppiate ( casa e studio), dove dobbiamo prendere i
soldi per il sostentamento primario (cibo, vestiti ecc..)? Durante la mia esperienza di vita e professionale, ho avuto
la fortuna di conoscere altre culture in cui lo stato è sempre presente e i
cittadini sono anche contenti di pagare le tasse, perché in qualche modo, i
soldi versati dalla comunità, hanno un percorso di rientro. Un esempio: nel
2013 mi recai in Danimarca per lavoro, dopo l’ennesima delusione professionale,
decisi ancora una volta di puntare il mio sguardo verso altri orizzonti, così
misi un curriculum su internet e in breve tempo, ricevetti una proposta di
lavoro. Una famiglia danese, mi contatta per trasformare e riammodernare un
fienile in spazi abitativi, dopo qualche e mail di scambio, prendiamo
appuntamento direttamente sui luoghi per cominciare le prime operazioni di
rilievo. Mi offrirono vitto, alloggio ed un congruo pagamento stabilito durante
le nostre conversazioni virtuali. Forse era finalmente arrivato il mio momento,
il punto di una nuova partenza, stavo espatriando e questa volta ero più deciso
che mai. Decisi di affinare il mio inglese scolastico e di frequentare un corso
di lingua in Irlanda prima del trasferimento in Danimarca, trovai un alloggio
economico e mi iscrissi ad una delle migliori scuole. Là, nel giro di una
settimana mi accadde l’inverosimile; conobbi durante la mia prima settimana di
permanenza, un collega che lavorava in un prestigioso studio di architettura,
dopo i primi convenevoli, mi porta nel suo studio, mi fa vedere i suo lavori,
che devo dire erano di alta qualità. Vedevo Architettura, studiata, pensata,
ragionata, mi sembrava di essere tornato all’Università, mi sentivo a casa; ci
confrontammo su varie tematiche, ci scambiammo i recapiti e cominciammo a
frequentarci. Dopo qualche giorno, arriva la proposta di collaborazione, in
quel periodo lo studio stava lavorando alla redazione di un progetto per un
carcere a Dublino e di un Ospedale. Contentissimo accettai senza riflettere,
anche se avevo già un appuntamento ben preciso in Danimarca. Così iniziai a
frequentare lo studio, conobbi i vari componenti dello staff tra cui un
italo-svizzero, un colombiano, un russo e ovviamente irlandesi. Il mio scarso
inglese, migliorava ogni giorno, tra la scuola e il lavoro, nel giro di poche
settimane raggiunsi un discreto livello, ma soprattutto, avevo una vita, un
lavoro, degli amici e la città dove vivevo, Galway, era ed è davvero
affascinante. Un città dalla storia millenaria, per certi versi simile alla
nostra, i primi ritrovamenti risalgono all’epoca neolitica, ricca di arte e
cultura, di festival, eventi, attività da fare nel tempo libero, piena di
parchi e giardini, molti dei quali dedicati ai bambini, un enorme acquario e
una prestigiosa università aperta nel 1849 con circa 17.000 studenti
immatricolati ogni anno provenienti da tutto il paese, per non parlare
dell’enorme afflusso turistico presente in ogni momento dell’anno. Ma come può
una cittadina di circa 75.000 abitanti, più o meno come Caltanissetta, avere
queste potenzialità? Ebbene parlando con i residenti autoctoni, ho potuto
constatare che, sebbene anche lì esista come in qualsiasi altra parte del
mondo, una certa corruzione, le amministrazioni, tanto locali quanto statali,
investono sul territorio, anche attraverso un lavoro di immagine, per favorire
l’attrazione turistica e culturale, ovvero un approccio sinergico alla
promozione del territorio. Tradotto in italiano si chiama “marketing
territoriale” il quale promuove un prodotto particolare il territorio, ovvero
l’insieme di quelle peculiarità (geografiche, storiche, artistiche,
paesaggistiche, ecc.) che rendono un’area unica ed irripetibile. Un approccio
moderno e manageriale della promozione territoriale deve partire proprio
dall’analisi delle risorse tangibili ed intangibili di un territorio, per
definire strategie di promozione efficaci che rendano il territorio un prodotto
“appealing”, in grado di intercettare la domanda locale ed internazionale. Il
prodotto è rappresentato da un insieme di luoghi, eventi, infrastrutture,
servizi, attrazioni (entertainment, cultura, sport, eventi) e di soggetti-attori
(chi gestisce l'offerta). L'obiettivo
strategico che si intende raggiungere è il rafforzamento della competitività del territorio come
destinazione turistica. Bene a Galway lo hanno fatto e lo continuano a fare. Ma
perché in Italia invece la situazione è decisamente peggiorata? Siamo più
stupidi? Siamo più ignoranti? La risposta è nella gestione della “res pubblica” secondo il rapporto di Corruption Perception Index 2014 di Transparency
International, l’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’UE e resta stabile al sessantanovesimo posto mondiale, come lo scorso anno, ma sconta scandali
come Expo e Mose, senza contare che le rilevazioni sono state eseguite prima
che scattasse lo scandalo «Mafia Capitale» a Roma. Dobbiamo per forza pensare
che si stava meglio quando si stava peggio? Io non ci sto!!! La prima università pubblica è
stata la prima delle cinque università di Napoli voluta nel 1224 da Federico II “Stupormindi”,
la più antica università d’Europa è quella di Bologna fondata nel 1088, l’Italia è il paese che possiede
il patrimonio artistico e culturale più importante del mondo, sia in termini di
quantità (siamo il paese con la maggior distribuzione di musei sul territorio)
che di qualità, ma sta cadendo a pezzi, ormai è sotto gli occhi di tutti. PricewaterhouseCoopers ha presentato il rapporto “Il valore
dell’arte: una prospettiva economico – finanziaria” da cui si evince un forte
gap competitivo del ritorno economico del patrimonio artistico- culturale
italiano rispetto agli altri paesi ed una scarsa capacità da parte del sistema
Italia di sviluppare il potenziale del nostro paese. L’Italia, si legge nel
rapporto, possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale
con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco. Nonostante questo dato di assoluto primato
a livello mondiale, il RAC, un indice che analizza il ritorno economico degli
asset culturali sui siti Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei
siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello
italiano. Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno unito è
tra 4 e 7 volte quello italiano. A fronte della ricchezza del patrimonio
culturale italiano, rispetto alle realtà estere esaminate, emergono enormi
potenzialità di crescita non ancora valorizzate. Secondo il FAI (fondo ambiente
italiano) i francesi con l'operazione Mission Val de Loire, si prendono cura
del loro paesaggio e incassano, gli americani, sono bravissimi nel gestire la
singola organizzazione, un esempio su tutti, il Getty Museum di Los Angeles. In
Italia, purtroppo c'è ancora molto da fare. E non si tratta solo di mancanza di
fondi: il Real Sito di Carditello, fattoria modello dei Borbone in provincia di
Caserta, nel 2004 ha ricevuto 2 milioni e 400 mila euro per il restauro, ma
oggi versa in condizioni deplorevoli. Ma al nord la situazione non è migliore
come testimoniano certe sale della Villa Reale di Monza. “Un paese senza ricerca e senza cultura è u
paese che è destinato a diventare sottosviluppato” (Margherita Hack).
Carlo Gibiino
Sogni, ambizioni e traguardi
Quando ho concluso i miei studi universitari presso l’Ateneo
di Palermo, ero pieno di entusiasmo, di forza, di sogni, immaginavo che, col
tempo, avrei creato uno studio associato, che con l’arrivo paziente dei miei
primi 40 anni avrei potuto dire di essere un professionista. Iniziai sin da
subito a lavorare presso un giovane studio di progettazione a Monreale, con il
quale cominciai a percorrere i primi passi in questo affascinante mondo fatto
di progettazione, di committenza, di questioni burocratiche. Ero felice di fare
le mie prime esperienze e anche se lavoravo gratis, a quel tempo non mi
importava, volevo solo fare esperienza, toccare con mano tutto quello che all’Università
non ci insegnano ma che fa parte integrante di questo splendido mestiere. Per
cui mi sono buttato giù a capofitto, come sono solito fare, nelle mie mansioni,
che ovviamente all’inizio erano per lo più di semplice disegnatore cad. Dopo
circa un anno, avevo imparato tante cose, ma purtroppo non ero ancora mai stato
in un cantiere, non avevo redatto un computo metrico, non conoscevo le fasi di
realizzazione di una costruzione, cose fondamentali per un professionista, ma
che neanche l’Università mi aveva dato. In quel momento non ci pensavo molto,
c’era tanto lavoro da fare, a me piaceva e in più cominciavo a guadagnare i
primi soldi che, ovviamente, sono sempre uno stimolo positivo e gratificante.
Dopo qualche altro mese, però, successero dei gravi fatti che mi fecero
allontanare da quello studio, si è vero sono orgoglioso ma a certi compromessi
non si scende, forse se fossi stato più maturo avrei potuto gestire la
situazione in maniera diversa, in ogni caso mi ritrovai senza lavoro e senza
soldi, per cui iniziai a pensare al mio futuro. Cominciai a cercare lavoro su
internet, stampai diversi curriculum e mi girai quasi tutti gli studi di
architettura e di ingegneria di Palermo, con la mia italianissima vespa,
consegnando fiducioso i miei “santini”,
ma nulla di nuovo accadde. Una sera mi ritrovai da solo a bere una birra in un
noto quartiere di Palermo, lì incontrai un mio amico che a quel tempo lavorava
presso l’Università come dottorando e mi propose di aprire uno studio a
Caltanissetta. Ero al settimo cielo, finalmente il mio studio da
professionista. Lui mise a disposizione un appartamento di sua proprietà, feci
realizzare una splendida targa in ceramica, ricordo ancora l’emozione nel
fissarla al muro esterno dell’edificio, restai a guardarla un po’ soddisfatto
di me, poi salii sopra e cominciai a sistemare i miei arredi, scrivania,
computer, i miei amici mi regalarono una bellissima lampada da tavolo, appesi
alcuni quadri, comprai delle sedie un armadio, insomma creai il mio piccolo
spazio. Il mio socio, non era molto presente, in quanto impegnato con i suoi
affari universitari, preparare lezioni, scrivere tesine ecc….ma quelle poche
volte che ci incontravamo parlavamo di come potessimo utilizzare i
finanziamenti della comunità europea per iniziare la nostra nuova avventura.
Così un giorno, arrivò il nostro primo cliente interessato a voler investire
una grossa somma di denaro e trasformare una sua proprietà in struttura
ricettiva. Andammo a fare un primo sopralluogo per poi completarlo con rilievo geometrico,
rilievo fotografico, ricerche al catasto ecc… studiammo il bando e non appena
avemmo il quadro completo, ci incontrammo nuovamente per prendere gli accordi
definitivi e cominciare la fase progettuale. L’incontro andò abbastanza bene
tranne per un fatto; appena parlammo di soldi, spese vive e rimborsi, quindi
senza accennare in alcun modo al nostro onorario, il cliente cominciò a
storcere il naso, dicendoci chiaramente che anche altri professionisti si
occupavano di finanziamenti, ma che a loro non era dovuto nulla. Perplessi ci
guardammo negli occhi e ci lasciammo con l’impegno di risentirci presto per
ulteriori sviluppi. Con il mio socio ne parlammo per giorni, non era una facile
decisione, quello era il nostro primo lavoro che avrebbe potuto portarci tanti
benefici…..si!!!....ma le spese chi le paga???? Prendemmo la nostra decisione e
la comunicammo al cliente il quale non si fece più sentire ne vedere. Mi
ritrovai nuovamente senza sapere cosa avrei potuto fare, mi iniettai una bella
dose di menefreghismo, orgoglio e umiltà e pensai di voler creare una rivista
che parlasse di architettura e di arte dedicata ai colleghi Siciliani, o
quantomeno al momento pensai ad una diffusione provinciale per poi allargarla
in ambito regionale. Cominciai a studiare, a progettare, a coinvolgere amici e
colleghi al fine di realizzare il mio sogno. Non fu affatto facile, ma alla
fine ci riuscii, nacque il MIAC (movimento internazionale architettura
contemporanea), supportata da un associazione di architetti chiamata MAAC
(movimento per l’architettura e l’arte contemporanea) di cui ne ero il
presidente. La rivista era sia cartacea che digitale, mi iscrissi all’albo dei
giornalisti e diventai il direttore responsabile della rivista, ma
contemporaneamente ricoprivo anche altre figure, come il grafico, il
procacciatore di sponsor e ovviamente anche redattore; procurai anche una casa editrice
disposta a collaborare, mi occupai della registrazione al tribunale, insomma
feci tutto quanto servisse per la regolarizzazione della rivista. Cercai anche
dei finanziamenti a livello locale, mi rivolsi all’Ordine degli Architetti non
solo per avere un aiuto economico ma anche e soprattutto gestionale, pensavo
nella mia ingenuità che avrei trovato le porte aperte, anche perché ricordo
ancora il discorso che il Presidente dell’Ordine fece ai nuovi iscritti, (era il 2003)
presentandosi come un amico al quale avremmo potuto rivolgerci per qualsiasi
dubbio, informazione, problematiche
varie ed anche per valutare nuove proposte. Di fatto così non fu, trovai invece
ostacoli ovunque anche per farmi consegnare l’albo degli iscritti, albo che
risaliva e che credo ancora oggi sia così, al 1996 nonostante l’art. 22 del
R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, regolamento per le professioni d’ingegnere e di
architetto così recita: “il consiglio
dell’ordine, nel mese di Gennaio di ogni anno, provvederà alla revisione
dell’albo,, portandovi le varianti che fossero necessarie”; mentre all’art.
23 dello stesso R.D.: “l’albo stampato a
cura e spese dell’ordine, è inviato alla corte di appello, ai tribunali, alle
preture, alla prefettura ed alla camera di commercio, aventi sede nel distretto
dell’ordine” e ancora: “potrà inoltre
essere trasmesso a quegli enti pubblici e privati che il consiglio reputerà
opportuno e, dietro pagamento, dovrà essere rilasciata copia a chiunque ne
faccia richiesta”. Dovetti faticare non poco per superare le infinite ed
inutili problematiche, ma alla fine mi diedero l’albo in formato pdf, con la
promessa che l’anno successivo avrebbero stampato l’albo aggiornato; sta di
fatto che siamo nel 2016 ma non esiste a tutt’oggi un albo aggiornato stampato.
Messe di lato le mie perplessità, i miei dubbi e le mie delusioni, andai avanti
nel mio progetto, nel frattempo anche i colleghi che avevano dato la loro
adesione, erano spariti così mi ritrovai da solo, non è una novità, mi
rimboccai le maniche e feci uscire il primo numero il 28 ottobre 2005 davanti
ad una sala gremita di cittadini, colleghi e semplici curiosi. Fu la mia prima
conferenza stampa. Andò meravigliosamente bene, ci fu un interessante dibattito
e alla fine tornai a casa soddisfatto di me. Pieno di entusiasmo, mi misi
immediatamente all’opera per far uscire il secondo numero, nel frattempo con
l’associazione organizzai diverse manifestazioni culturali, workshop, dibattiti,
incontri, in collaborazione anche con altre associazioni del territorio. Senza
saperlo mi misi in mostra, e se da un lato diventai un personaggio scomodo,
dall’altro cominciavano ad arrivare i primi lavori, si è vero di piccola
entità, ma passai alcuni anni a pieno regime, non dico a livello economico, ma
quantomeno a livello professionale. Cominciai ad essere il tecnico di varie
attività commerciali, a fare alcune ristrutturazioni d’interni e ad un certo
punto non riuscii più a dedicarmi alla rivista la quale, nonostante avesse una
cadenza trimestrale, si fermò a cinque numeri. Nel frattempo fui contattato dallo
IUAV, da una importante casa editrice del Sud Tirol, avevo stretto rapporti con
il Presidente dell’allora consorzio universitario di Caltanissetta, cominciavo
ad allargare i miei orizzonti. Erano già passati tre o quattro anni dalla mia
abilitazione alla professione quanto mi resi conto che tutto facevo tranne che
l’Architetto, iniziai a pensare di voler andare all’estero. Appassionato di
grafica, cominciai a studiare un programma per realizzare rendering di alto
livello, presi anche una certificazione per saper usare un programma cad che
già conoscevo abbastanza bene, tanto che le lezioni per me erano anche noiose,
ma lo feci in prospettiva di volere espatriare e di poter certificare le mie
competenze. Alla fine del corso, l’insegnante mi segnala una possibilità
lavorativa e mi mette in contatto con un’azienda di Palermo che si occupava di
rilievi di grosse strutture appartenenti allo stato ai fini di catalogarle e metterne
in risalto lo stato dei luoghi. Così presi un appuntamento, feci un colloquio e
il giorno dopo iniziai, prendemmo un accordo economico per il primo mese come
prova quantificabile in un rimborso spese, anche perché mi trasferii nuovamente
a Palermo con conseguenti ulteriori spese. L’ambiente lavorativo era abbastanza
gioviale, feci amicizia con tutti in breve tempo e devo dire, con mia
soddisfazione, che sia il capo che i colleghi avevano apprezzato il mio modo di
lavorare, veloce e puntuale. Passato il primo mese di prova, andai a parlare
con il capo, chiedendo informazioni sui nostri accordi futuri, mi sento
rispondere che la cifra stabilita € 500,00 al mese, per circa 10 ore di lavoro
consecutive al giorno tranne un ora di pausa pranzo, erano più che sufficienti
e non potevo pretendere di più. Senza fare troppe discussioni, capito
l’andamento dei fatti, lasciai perdere e tornai a Caltanissetta deciso più che
mai ad espatriare. Vengo contattato da una azienda, che si occupava di
forniture ed arredi per locali ristorazione, (bar, tavola calda, ristoranti
ecc…) per la realizzazione di render, così vado a fare due chiacchiere con il
titolare il quale mi pone davanti una gran bella mole di lavoro, chiariamo
anche l’aspetto economico e contento ed entusiasta della discussione torno a
casa e cominciamo dal giorno dopo la nostra collaborazione. Nel frattempo
cominciano ad arrivare altri lavori, perizie estimative, consulenze con il
tribunale, mi metto nuovamente a regime, nonché anche una collaborazione con un
grosso studio Svedese, l’idea dell’espatrio mi sembra più vicino adesso. Per la
prima volta mi occupo di architettura, sono di nuovo al settimo cielo.
Dopo un periodo di regolare rapporto lavorativo con l’azienda
dei render, la chiameremo così per comodità, in cui i pagamenti e le consegne
avvenivano in maniera pressoché puntuali, arrivò il momento dei pagamenti in
ritardo. All’inizio si trattò di 30 giorni circa, poi di 60, poi 90 fino al punto
di aspettare anche sei mesi- un anno senza ricevere alcun pagamento. Cercai
all’inizio, come sono solito fare, di trovare un accordo bonario, smisi
ovviamente di lavorare per loro almeno fin quando non mi avrebbero saldato i
compensi emessi con regolare fattura. Il proprietario mi chiese gentilmente di
poter pazientare ancora un po’, io ebbi tanta pazienza, ma alla fine dopo due
anni senza alcuna notizia decisi di rivolgermi ad un avvocato, per recuperare
la somma. Bhè….sono passati, non ricordo più…..almeno SETTE anni, ma io non ho
ancora visto nulla se non spese, spese e spese. Oltre alle spese legali, sono stato anche
costretto dallo Stato a versare l’iva e pagare la cassa di previdenza anche per
le fatture non incassate. Abbiamo dovuto aspettare il “decreto sviluppo bis” DL 83/2012 del 1°
Dicembre 2012, meglio conosciuto come regime “dell’Iva per cassa” per versare l’Iva solo quando viene pagata la
fattura. Sembra che il legislatore abbia avuto un colpo di genio, ma come
funziona? Il cosiddetto regime dell’Iva per cassa, dà la possibilità per
il contribuente-partita Iva di versare l’imposta sul valore aggiunto quando
riceve il pagamento della fattura. Finora – e soprattutto in questi
ultimi tempi di crisi e
di ritardati o mancati pagamenti – succedeva di dover anticipare allo Stato
un’imposta su un reddito non percepito. Tutti i titolari di partita Iva che
fatturano meno di 2 milioni di euro all’anno possono scegliere di
applicare al versamento dell’Iva il principio "di
cassa". Questo però vale solo per le operazioni verso altri titolari di
partite Iva e non verso i privati consumatori (utenti finali). Com’è
noto, l’Iva è una "partita di giro", cioè la si incassa dal cliente e
la si versa al fisco. Quindi se non incasso non verso? Purtroppo non è
così. Indipendentemente dall’avvenuto incasso da parte del cliente, l’Iva va
comunque versata entro un anno dalla vendita o dalla prestazione del servizio a
meno che il nostro cliente non sia fallito o sia stato coinvolto in qualche
procedura concorsuale (concordato preventivo, amministrazione straordinaria,
ecc.). Inoltre chi sceglie il “cash
accounting" dovrà riportare sulle fatture emesse l’annotazione che si
tratta di operazione con “IVA per cassa” ai sensi dell’articolo 32-bis del
decreto legge 22 giugno 2012, n. 83. La scelta di aderire al sistema dell’Iva
per cassa deve essere comunicata nella dichiarazione Iva relativa all’anno in
cui iniziamo ad adottare il nuovo sistema. Per esempio, se utilizziamo l’Iva
per cassa dal 2013, la scelta va comunicata nella dichiarazione Iva del 2013
che deve essere presentata nel 2014. La scelta ci vincola per tre anni. Quindi
se scegliamo di adottare questo sistema dal 2013 dovremo applicare il regime
anche nel 2014 e nel 2015 per tutte le nostre operazioni. Sempre che il nostro
fatturato rimanga sotto la soglia dei 2 milioni di euro, superata la quale
l’Iva per cassa non si può più applicare. Bhè… leggendo il decreto non sono più
tanto convinto che il legislatore abbia usato bene la sua “intelligentia” . Innanzitutto bisogna aderire, come se sapessi in
anticipo chi mi pagherà all’emissione della fattura e chi no, anzi presuppone
che lo Stato conosca perfettamente la situazione e la accetti passivamente, se
non scrivo la corretta dicitura in fattura rischio anche una multa e se non
ricevo il pagamento entro un anno sono ugualmente costretto a versare l’iva; in
poche parole, siamo sempre noi contribuenti onesti a pagare tutte le spese,
anche quelle non dovute. Lo stesso dicasi per il mio specifico caso di cui
sopra, emetto fattura, il cliente non paga, ma io non solo devo anticipare
tutte le spese ma non ho nessun tipo di garanzia per recuperare il credito. Mi
sono arrovellato il cervello per cercare di capire come mai accade tutto
questo, mi sono domandato più e più volte perché lo Stato non ci tutela? Perché
in Italia deve sempre averla vinta il malandrino? Stesso discorso vale anche
per l’INARCASSA, siamo costretti a versare un contributo minimo, da corrispondere indipendentemente dal reddito
professionale dichiarato, il cui ammontare varia annualmente in base all’indice
annuale ISTAT. Per l’anno 2015 è
fissato in € 2.280,00. Ma cosa
vuol dire? Anche se un professionista chiude l’anno con reddito ZERO, o anche
con piccoli importi, è costretto a pagare senza alcuna garanzia. Si legge sulla
rivista Inarcassa n. 2 del 2010: nel 2003 il debito previdenziale era di 13,7
miliardi di Euro; nel 2006 il debito previdenziale ra di 20,7 miliardi di Euro;
ovvero 7 miliardi in 3 anni.
Carlo Gibiino
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