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martedì 21 marzo 2017

BELLEZZA NEL QUOTIDIANO

André Vicente Goncalves, Windows of the World.
Collage fotografico delle finestre di Burano
 
Definire la bellezza non è questione semplice: se in ambito filosofico il dibattito rimane tuttora aperto, in quello architettonico Renzo Piano coglie e sintetizza efficacemente tale difficoltà attraverso la dichiarazione tautologica “la bellezza è una bellissima idea”. Uno dei temi in discussione riguarda l’attribuzione di valore estetico a oggetti, edifici e spazi di uso quotidiano: la bellezza talvolta viene messa da parte negli aspetti ordinari della vita a causa del pregiudizio che la vede legata principalmente al campo artistico. Nel corso dei secoli, sarti, contadini o muratori hanno realizzato prodotti che a livello personale potevano giudicare belli, eppure la collettività di volta in volta ha scelto di tramandare unicamente le opere di artisti, poeti e romanzieri; siamo riusciti a ipotizzare quale fosse l’ideale di bellezza degli artigiani soltanto quando gli artisti hanno raffigurato abiti, attrezzi o capanne nelle loro opere.
L’interesse dell’architettura verso l’estetica del quotidiano registra due importanti contributi negli ultimi venti anni. Il primo è di Lucien Kroll, che enfatizza la costruzione giornaliera dei luoghi mediante piccoli gesti, inclusi i gerani alla finestra o la gabbietta con il canarino esposta nel balcone: «ogni essere umano ricostruisce, giorno dopo giorno, il mondo: questa è utopia. Ricostruiscono il proprio spazio, fanno ordine in casa: creano un mondo nuovo con quello che hanno, mettono a posto, cambiano qualcosa. È un’utopia domestica, minimalista» [Ecologie Urbane, 1996].
André Vicente Goncalves, Windows of the World.
Collage fotografico delle finestre di Burano
 

Recentemente il discorso è stato ripreso da Raul Pantaleo, che – trovandosi a operare in contesti segnati da guerre, malattie e povertà – invoca un’architettura capace di non piegarsi alla bruttezza della realtà, a cui gli esseri umani sembrano invece rassegnarsi lentamente. A suo avviso, immaginare un mondo “scandalosamente bello” – dove lo scandalo risiede nel ragionare in termini estetici quando si progetta in aree periferiche o marginali – è per un architetto più di un impegno professionale, è una meditata consapevolezza delle responsabilità legate alle proprie azioni progettuali. Il primo atto responsabile consiste nel considerare la bellezza un diritto fondamentale piuttosto che ridurla a merce, dal momento che essa costituisce «il primo gesto di cura e di amore, non un lusso. È una questione di cultura prima di tutto, e solo poi di denaro. Il problema si chiama profitto: la bellezza è un costo che non genera alcun utile e per questo è trascurata» [La sporca bellezza, 2016].
Una interessante prospettiva su come approcciare la questione estetica di elementi e spazi della quotidianità viene offerta dal fotografo André Vicente Gonçalves, che ha documentato centinaia di porte e finestre provenienti da varie zone geografiche nei progetti “Windows of the World” e “Doors of the World”. Entrambe le serie fotografiche esplorano l’evoluzione di due elementi architettonici essenziali secondo direzioni non sempre controllate dagli architetti; infatti, ogni collage richiama l’attenzione su dettagli che considerati singolarmente risultano spesso banali e insignificanti, ma raccolti tutti insieme mostrano il loro importante ruolo nella percezione complessiva di una città.
L’architettura ha il compito inevitabile di immaginare una bellezza che sfugge alle mode effimere per inseguire concretezza e permanenza, che consente di puntare lo sguardo verso il cielo mantenendo i piedi ben saldi a terra, sempre alla ricerca dello spirito del luogo e delle persone pur agendo nella certezza costante del dubbio. E tenendo presente che a fare belli i luoghi contribuisce soprattutto il modo in cui sono abitati, perché, come ci ricorda Erri De Luca nella prefazione al saggio di Pantaleo, «la bellezza è anche un vaso di fiori davanti a una baracca misera ma pulita».
 Emanuele Forzese

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