André Vicente Goncalves, Windows of the World.
Collage fotografico delle finestre di Burano |
Definire la bellezza non è
questione semplice: se in ambito filosofico il dibattito rimane tuttora aperto,
in quello architettonico Renzo Piano coglie e sintetizza efficacemente tale
difficoltà attraverso la dichiarazione tautologica “la bellezza è una
bellissima idea”. Uno dei temi in discussione riguarda l’attribuzione di valore
estetico a oggetti, edifici e spazi di uso quotidiano: la bellezza talvolta
viene messa da parte negli aspetti ordinari della vita a causa del pregiudizio
che la vede legata principalmente al campo artistico. Nel corso dei secoli, sarti,
contadini o muratori hanno realizzato prodotti che a livello personale potevano
giudicare belli, eppure la collettività di volta in volta ha scelto di tramandare
unicamente le opere di artisti, poeti e romanzieri; siamo riusciti a ipotizzare
quale fosse l’ideale di bellezza degli artigiani soltanto quando gli artisti
hanno raffigurato abiti, attrezzi o capanne nelle loro opere.
L’interesse dell’architettura
verso l’estetica del quotidiano registra due importanti contributi negli ultimi
venti anni. Il primo è di Lucien Kroll, che enfatizza la costruzione
giornaliera dei luoghi mediante piccoli gesti, inclusi i gerani alla finestra o la gabbietta con il canarino esposta nel balcone:
«ogni essere umano ricostruisce, giorno dopo giorno, il mondo: questa è utopia.
Ricostruiscono il proprio spazio, fanno ordine in casa: creano un mondo nuovo
con quello che hanno, mettono a posto, cambiano qualcosa. È un’utopia
domestica, minimalista» [Ecologie Urbane, 1996].
André Vicente Goncalves, Windows of the World. Collage fotografico delle finestre di Burano |
Recentemente il discorso è stato
ripreso da Raul Pantaleo, che – trovandosi a operare in contesti segnati da
guerre, malattie e povertà – invoca un’architettura capace di non piegarsi alla
bruttezza della realtà, a cui gli esseri umani sembrano invece rassegnarsi lentamente.
A suo avviso, immaginare un mondo “scandalosamente bello” – dove lo scandalo
risiede nel ragionare in termini estetici quando si progetta in aree
periferiche o marginali – è per un architetto più di un impegno professionale,
è una meditata consapevolezza delle responsabilità legate alle proprie azioni
progettuali. Il primo atto responsabile consiste nel considerare la bellezza un
diritto fondamentale piuttosto che ridurla a merce, dal momento che essa costituisce
«il primo gesto di cura e di amore, non
un lusso. È una questione di cultura prima di tutto, e solo poi di denaro. Il
problema si chiama profitto: la bellezza è un costo che non genera alcun utile
e per questo è trascurata» [La sporca bellezza, 2016].
Una interessante prospettiva su come approcciare la questione estetica di
elementi e spazi della quotidianità viene offerta dal fotografo André
Vicente Gonçalves, che ha documentato centinaia di porte e finestre provenienti
da varie zone geografiche nei progetti “Windows of the World” e “Doors of the
World”. Entrambe le serie fotografiche esplorano l’evoluzione di due elementi architettonici
essenziali secondo direzioni non sempre controllate dagli architetti; infatti,
ogni collage richiama l’attenzione su dettagli che considerati singolarmente
risultano spesso banali e insignificanti, ma raccolti tutti insieme mostrano il
loro importante ruolo nella percezione complessiva di una città.
L’architettura ha il compito
inevitabile di immaginare una bellezza che sfugge alle mode effimere per
inseguire concretezza e permanenza, che consente di puntare lo sguardo verso il
cielo mantenendo i piedi ben saldi a terra, sempre alla ricerca dello spirito
del luogo e delle persone pur agendo nella certezza costante del dubbio. E tenendo presente che a fare belli i luoghi contribuisce
soprattutto il modo in cui sono abitati, perché, come ci ricorda Erri De Luca
nella prefazione al saggio di Pantaleo, «la bellezza è anche un vaso di fiori
davanti a una baracca misera ma pulita».
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