Appunti dei taccuini di P. G. Zendrini (fonte: pgzendrini.com).
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In ambito psicologico
“resilienza” indica la capacità per una persona di reagire positivamente agli
eventi traumatici, riorganizzando la propria esistenza dinanzi alle difficoltà e
restando sensibile alle opportunità che si offrono di volta in volta. Tale
concetto viene esteso dal singolo individuo all’intera comunità quando occorre
analizzare le conseguenze indotte nei contesti sociali da gravi catastrofi
naturali (quali uragani e inondazioni) o da azioni antropiche (tra cui attentati
terroristici e guerre). Nel campo urbanistico si discute da tempo su politiche
e pratiche delle “città resilienti” che, messe alla prova da circostanze
correlate ai cambiamenti climatici e alla sicurezza, stanno sperimentando nuove
risposte sociali, economiche e ambientali.
Oggi persino gli architetti si
scoprono resilienti, essendo spinti ad acquisire competenze trasversali
(rigorosamente certificate ai fini dei Crediti Formativi Professionali), a
districarsi tra vincoli burocratici e finanziari, a rincorrere il successo con
formalismi spettacolari, a mediare le esigenze di committenti e fruitori con le
capacità di costruttori e operai.
Ma l’unica strategia attuabile
consiste nell’adattarsi sempre e comunque, nel cercare a ogni costo di trasformare
l’incertezza in occasione e il rischio in innovazione?
Leggendo i taccuini di Pietro
Giorgio Zendrini emerge piuttosto una idea di “resistenza” quale condizione
necessaria per ripensarsi progettisti, un modo di essere nel mondo
(professionale) ancorato a due radici disciplinari: il costruire come strumento
responsabile per vivere meglio e il progettare come interrogazione continua sulla
complessità del quotidiano. L’architetto che desidera esistere e resistere nello
svolgimento della professione deve ridare centralità alla cura, deve pensare
ogni progetto come messa in opera del “buono”, prendendosi tutto il tempo
necessario per riflettere sulle motivazioni che stanno alla sua base:
valutazione dei bisogni, scelta e impiego dei materiali, confronto con il
contesto, adozione di appropriati criteri formali, eccetera.
Per Zendrini la resistenza si concretizza
cercando di fare cose “buone”, e lo dimostra egli stesso quando, posto davanti
al ricatto di un cliente che pretende di sacrificare l’attenzione al sito per
conferire “un po’ di estetica” al progetto di una piccola casa, sceglie di
salvaguardare la bontà del proprio lavoro rinunciando all’incarico.
Alle instabilità di un mestiere
che si è fatto “liquido” è necessario dunque opporre resistenza, cercando di comportarsi
in ogni circostanza in accordo all’idea che ciascun progettista, pur con minime
azioni, può contribuire a cambiare ciò che non va. Cercando di agire al meglio
attraverso un progetto etico, prima ancora che urbano o architettonico.
Emanuele
Forzese
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